5 luglio 1924 – 2024 / Buco Nero

A 100 anni dell’assassinio di Ernesto Monselici vi proponiamo un altro racconto di Wu Ming 2 pubblicato come testo nel nostro libro “Veglione Rosso” acquistabile a Reggio Emilia in sede Istoreco e a Correggio presso Casa Spartaco e Anpi.

Ernesto era di idee socialiste, alle quali credeva senza fare mistero di condividere la linea del Partito socialista.
Solo nel 1924 aderisce al Partito comunista Italiano. Mutilato di guerra, trascorre parte del suo tempo a discutere con i compagni alla cooperativa di consumo di Budrio.
Quando nel giugno del 1922 i fascisti incendiano la Cooperativa, Ernesto viene violentemente bastonato.
Nell’aprile 1923 Monselici, mentre transita per la pubblica via nel suo paese natale, viene nuovamente percosso con colpi di bastone al capo e alle spalle.
Conseguentemente alle percosse ricevute è ricoverato all’ospedale di Modena con la diagnosi «forte uricemia».
Lì muore il 5 luglio 1924.

ERNESTO MONSELICI

I documenti non sono di grande aiuto, per immaginare la vita di Ernesto Monselici.
So che era nato nella frazione – meglio: nella villa – di Budrio, il 13 settembre 1883, ma non conosco i nomi dei genitori.
So che era muratore, come lo erano quattro dei dodici correggesi uccisi dai fascisti prima della guerra.
Mi domando il motivo di una percentuale così alta e scopro che a quei tempi, nelle cittadine della Bassa, dove non si trovavano chissà quali fabbriche, i lavoratori dei cantieri edili erano quanto di più simile agli operai dell’industria: gente abituata a lavorare in squadra, spalla a spalla, in uno spazio ristretto, con un orario fisso, usando attrezzi e macchinari che richiedevano un’abilità specifica. E infatti i muratori furono tra i primi a organizzarsi, a mettere in piedi leghe e cooperative, a lanciare scioperi di categoria. Facile quindi che un muratore fosse affascinato dalle idee socialiste. Come lo fu Ernesto, che poi nel ’24 si iscrisse al Partito comunista d’Italia.
So che lo chiamavano Diacci o Giaccio, che corrisponde all’italiano «ghiaccio», ma non conosco il motivo di quel soprannome. Da ragazzino avevo un amico, Lorenzo detto Findus – come la marca di surgelati – perché aveva sempre le mani fredde. Chissà se anche Ernesto aveva un problema simile – magari viveva in una casa riscaldata male, con poca legna. Oppure, un nomignolo del genere lo si potrebbe affibbiare a un tipo serioso, riservato, taciturno, che non si lascia prendere dalle emozioni. Ma leggo in una testimonianza che Ernesto amava passare le serate a parlare con i compagni in cooperativa, oppure subito fuori, d’estate, quando lo stanzone diventava troppo caldo. Uno così non riesco a immaginarmelo «di ghiaccio». A volte succede che una persona venga battezzata all’incontrario, per scherzare, come quell’altro mio amico, per tutti Il Conte, proprio in quanto piuttosto rozzo nei modi e nel parlare. «Giaccio» allora potrebbe indicare un tipo fin troppo loquace e portato all’entusiasmo. Uno che s’infervora nelle discussioni, anche per strada, proprio di fronte alla cooperativa di Budrio, dove i fascisti lo bastonarono una prima volta, nonostante fosse invalido di guerra. Poi lo aggredirono di nuovo, l’anno dopo, non so bene dove. Finì in ospedale, con una diagnosi di «forte uricemia», segno che i reni non gli funzionavano più bene. Glieli avevano rovinati a forza di botte sulla schiena e non ci fu modo di rimetterli a posto. Morì il 15 luglio del 1924.

A lungo ho cercato di capire il motivo dell’accanimento contro di lui. Nei casi precedenti non era stato difficile: Mario Gasparini era un capolega stimato e ascoltato; Agostino Zaccarelli, un giovane dirigente molto brillante; Umberto Bizzoccoli, il segretario cittadino della Federazione giovanile comunista; Angelo Mariani, un poeta popolare; Antonio Pellicciari, un Ardito del popolo, di quelli che a Parma le avevano suonate all’armata di Italo Balbo; Aristodemo Cocconi era il fratello di un assessore socialista; Antonio Bellelli, un consigliere comunale del PSI.

Ernesto invece non era una figura di spicco e i documenti non dicono perché fu bastonato. È una lacuna? Un dettaglio della vicenda che gli archivi non hanno tramandato?
Scorro un elenco delle aggressioni fasciste di questi ultimi anni. Pestaggi per via di una battuta politica, di un volantino rifiutato o accartocciato, di una maglietta con qualche scritta. Renato Biagetti, accoltellato a morte il 28 agosto 2006, perché usciva da una festa reggae organizzata da compagni; Samb Modou e Diop Mor, ammazzati a Firenze da un militante di Casa Pound solo a causa del loro aspetto; Roberto Pantic, ucciso da un fascista che spara «per sfogarsi» contro la roulotte dove vive con la moglie e i figli. E molto tempo prima, Roberto Scialabba, scelto a caso in una piazza frequentata da giovani di sinistra e assassinato dai Nar con tre colpi di pistola, per vendicare la morte di alcuni camerati.

Inutile domandarsi, allora, perché Ernesto Monselici fu assalito più volte e ucciso a bastonate.
Era comunista, tanto basta. Frequentava la cooperativa, non c’è bisogno d’altro.
L’assenza di un movente adeguato, per un omicidio come il suo, non è una lacuna da riempire.
È quella che in tribunale verrebbe considerata un’aggravante.
Ma nel caso della violenza fascista bisognerebbe modificare la formula.
La costante dei futili motivi.

Potete ascoltarlo anche qui:
https://www.wumingfoundation.com/suoni/WM2-Concordanze_Pilia_Ernesto_Monselici.mp3