Costantino Di Sante, Criminali del campo di concentramento di Bolzano, Edition Raetia, Bolzano 2019, pp. 319, 24,00 euro

Recensione di Glauco Bertani

È un libro denso. Un libro che documenta orrori. Un libro ricco d’immagini, che ci sbatte in faccia la serenità dei carnefici che compivano quegli orrori. Aguzzini e aguzzine picchiavano, torturavano, uccidevano e con la stessa naturalezza facevano una gita pei boschi altoatesini o tracannavano vino seduti sorridenti all’hotel Monte San Vigilio, sopra Merano.

Il campo di concentramento (Polizei-Durchgangslager) di Bolzano, in via Resia, è entrato in funzione nell’estate del 1944 dopo la chiusura del campo di Fossoli, una frazione del comune di Carpi, in provincia di Modena. Il lager di Bolzano ha ereditato la struttura del campo carpigiano, prigionieri, guardiani, personale amministrativo e stamperia. A Fossoli il comandante era Karl Titho e lo è stato anche fino alla chiusura di quello di Bolzano, nella primavera del 1945.

Uno strano destino, nell’immediato periodo post Liberazione, ha circondato il lager di Bolzano che insieme alla Risiera di Sabba, a Trieste, è stato un luogo di detenzione e di tortura nazista. Su di esso era calato un velo che l’ha nascosto agli occhi della memoria fino agli anni Settanta del Novecento:

«Le strutture del lager – scrive Dario Vengoni nella presentazione – sono state occupate già nel 1945 da profughi, senzatetto, sfollati e da molti di coloro che rientravano in Italia dalla prigionia nei territori del Reich. In seguito, famiglie di sfollati si sono accampate in modo permanente nell’area delimitata dal muro del lager, fino alla fine degli anni Cinquanta, quando tutta la zona fu oggetto di un progetto del Comune teso ad assicurare un’abitazione dignitosa ai tanti abitanti di Bolzano ancora privi di un alloggio. Già nei primi anni Sessanta al posto delle baracche, delle celle, dei servizi del campo sorgeva una dozzina di palazzine di edilizia residenziale. E sulla storia lager è sceso il silenzio» (p. 6).

Bisognerà aspettare i primi anni del nuovo secolo perché i fari su quel luogo si riaccendessero.  La causa? Il processo a Verona, nel 2000, a uno dei carnefici del lager bolzanino Michael Seifert (leggete la sua scheda…). E da quel momento l’interesse per via Reisa è rifiorito. Con il lavoro di Di Sante le conoscenze sul lager nazista di Bolzano ha fatto un decisivo passo in avanti.

Il «libro nasce dal ritrovamento – scrive Di Sante – di alcuni fondi di documenti inediti che descrivono la catena di comando nel lager di Bolzano e del comando nazista insediato presso l’edificio del Corpo d’Armata e documentano in modo inoppugnabile alcuni crimini di cui le SS e la Gestapo si macchiarono in via Reisa e in città» (p. 9).

Nelle carte dell’archivio dell’Ufficio storico dello Stato maggiore dell’esercito – relative a interrogatori, deposizioni e testimonianze delle guardie del lager e degli addetti all’amministrazione – raccolte nel 1945, emergono i crimini commessi dai nazisti, compreso l’eccidio del 12 settembre 1944, compiuto nella caserma Mignone situata nel quartiere Oltrisarco a Bolzano, di ventitré giovani soldati italiani, agenti del SIM.

Criminali è suddiviso in quattro capitoli: “Storia del lager”, “Gli aguzzini”, “Il tempo libero dei carnefici” e “Stampe e documenti dalla tipografia del campo”.

Nel primo capitolo il lettore troverà la precisa ricostruzione della genesi del lager di via Resia ricostruita con i documenti sopra ricordati e con le carte recuperate da Roberta Cairoli presso i National archives di Washington; nel secondo l’autore va sulle tracce dei carnefici ricostruendone i profili biografici. Qui vogliamo ricordarne due in particolare: Michael Seifert “Misha”, il “boia di Bolzano”, e Hilda Lächert “La Tigre”. Il terzo capitolo, dopo avere visto e letto le pagine precedenti, è agghiacciante. La vita spensierata degli aguzzini fotografata fra scampagnate, mangiate e amori.

La storia della stamperia del Polizei-Durchgangslager, documentata nel quarto capitolo, ha origine a Milano nell’aprile 1944 quando tedeschi e militi fascisti «fecero irruzione nella tipografia installata da Sady Francinetti nel cortile di una casa di via Fauché 9 a Milano». Una stamperia clandestina della Resistenza. La maggior parte del macchinario saccheggiato fu portato a Fossoli e quando fu chiuso il tutto fu trasferito a Bolzano. A Milano fu catturato anche un tipografo antifascista, Cherubino Ferrario, che seguì le macchine per rimontarle ogni volta prima a Fossoli e poi a Bolzano. Ma pochi giorni dopo, il 5 agosto 1944, Ferrario fu deportato a Mauthausen, dove morì nell’aprile 1945.

(Recensione tratta dalla rivista “RS-Ricerche Storiche”, n. 127/2019)

IL LAGER DI BOLZANO-GRIES
VIA RESIA OGGI

Foto e testo di foto di Giovanna Strappazzon

«Inizio con una domanda, che non sarà l’unica. Mi sono chiesta che funzione potesse avere questo MURO. Poco ho percepito il ricordo, la memoria. Il muro è stato assorbito in un assetto urbanistico: delimitazione di spazio condominiale degli edifici costruiti all’interno del “CAMPO”. Invita a parcheggiarci le auto, appoggiarci una rastrelliera, piantarci un calicantus e all’esterno… accompagna ciclisti pedoni pattinatori verso la campagna. Una passeggiata del pomeriggio con la tua ombra sul MURO che ti accompagna silenziosa.

La percezione di una luogo “potente” non l’ho avuta neanche all’inizio leggendo i pannelli esplicativi: a me è sembrato non appartenessero al luogo, qualcosa di calato da un’altra realtà. Che cosa fa di un luogo un simbolo, qualcosa che possa trasmettere un significato, un insegnamento, un ricordo? Isolarlo dal contesto, farne un monumento o lasciarlo vivere, quasi anonimo, tra noi e con noi?… Non so che cosa sia più appropriato, meriterebbe una riflessione profonda. Mi chiedo, però, che cosa provino le persone che al di qua del MURO ci vivono».