Matteo Marani, Dallo scudetto ad Auschwitz. Storia di Arpad Weisz, allenatore ebreo, Imprimatur, 2018

Non lo sapeva nemmeno Enzo Biagi, bolognese e tifoso del Bologna. «Mi sembra si chiamasse Weisz, era molto bravo ma anche ebreo e chi sa come è finito». È finito ad Auschwitz, è morto la mattina del 31 gennaio ’44. Il 5 ottobre del ’42 erano entrati nella camera a gas sua moglie Elena e i suoi figli Roberto e Clara, 12 e 8 anni. Questa è la risposta, documentata, di Matteo Marani, bolognese, laureato in Storia (e questo spiega qualcosa). Gli ci sono voluti tre anni di ricerca, scrupolosa e insieme ossessiva, perché gli pareva di inseguire un fantasma. Preciso come una banca svizzera, dolente come una cicatrice. Ho idea che Marani abbia sentito le voci nel vento, per dirla con Guccini, bolognese d’adozione. Forse lo ha spinto una coincidenza: abita a meno di 300 metri da dove abitava Weisz. Certamente lo ha sorretto una volontà da detective della memoria. E così dai registri di classe del ’38, ritrovati in uno scantinato, è arrivato a conoscere uno degli amici del piccolo Weisz, un amico vero che per tutti questi anni aveva conservato lettere e cartoline che gli arrivavano dalla Francia, dall’Olanda, da dove i Weisz cercavano di sottrarsi ai cacciatori dopo che il Bologna aveva licenziato il suo tecnico in omaggio alle leggi razziali.

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