Mercoledì 23 giugno 2021 nella ricorrenza del 77° della morte il sindaco di Baiso Fabrizio Corti commemorerà il caduto partigiano Stefano “Nino” Piccinini di Sassuolo alle 20 presso il ponte del Carnione a Levizzano di Baiso (località Poggio del Bue) dove il giovane morì combattendo. Nell’occasione sarà inaugurata da Ermete Fiaccadori presidente ANPI-Reggio Emilia una targa esplicativa per far conoscere il fatto di guerra in cui cadde il giovane partigiano. Successivamente alle 20.45 il sindaco di Castellarano e Presidente della Provincia di Reggio Emilia Giorgio Zanni e il sindaco di Sassuolo Gian Francesco Menani commemoreranno il cittadino di Castellarano Giorgio Fontana “Geppo”, coinvolto nello stesso episodio, catturato poi torturato e fucilato a Sassuolo presso il muro dello Stadio “Ricci” in Piazza Risorgimento 47. Saranno presenti rappresentanze di ANPI- Baiso, Castellarano, Sassuolo e della Valle del Secchia e ANPI-Reggio e ANPI-Modena che porteranno il loro omaggio.

Si auspica la partecipazione dei cittadini a questo evento della memoria civile nazionale. Pur svolgendosi la cerimonia in un arco temporale breve, sia a Poggio del Bue di Baiso che nella piazzetta dello Stadio sarà d’obbligo osservare il necessario distanziamento sociale e indossare i dispositivi di sicurezza.

 


 

LA VICENDA

Erano due ragazzi Stefano e Giorgio, saliti in montagna per non rispondere ai bandi della Repubblica di Salò ma entrambi figli di genitori impegnati nella lotta al fascismo.

Stefano, familiarmente “Nino”, Piccinini era sassolese abitava in via Fenuzzi 18 e aveva 18 anni. Un suo congiunto Piccinini Triffone aveva combattuto nel 1848 per l’indipendenza d’Italia, partecipando al processo risorgimentale. Suo padre Francesco era stato consigliere comunale socialista tra il 1914 e il 1918 e aveva fatto parte della Amministrazione socialista del Sindaco Paoli, che il fascismo nel 1921 sciolse con la violenza. La madre Medici Irma era vedova e Stefano frequentava la IV Istituto tecnico comunale a Villa Segrè. Abbiamo la sua foto scolastica e un’immagine in posa con i suoi compagni di calcio. Suo fratello Pietro appassionato di fotografia ci ha lasciato immagini dei due carri armati brasiliani che entrano a Sassuolo e presidiano le due piazze e della sfilata dei partigiani nei giorni della liberazione. Ma Nino non potè gioire quel giorno di aprile col fratello e coi suoi amici partigiani perché era morto un anno prima nell’estate del 1944.

Giorgio “Geppo “Fontana aveva compiuto 19 anni, un giovane di Castellarano, serio e laborioso, aveva lavorato da garzone e a Roteglia lo conoscevano bene e agghiacciarono quando lo videro passare scalzo e legato al cofano del sidecar che lo portava al luogo di tortura a Palazzo Ducale a Sassuolo, dove la madre straziata si recò. Testimoni dicono che anche il padre Gualtiero, anch’egli coinvolto nella lotta partigiana, assistette al lugubre passaggio da Castellarano del suo ragazzo.

Sui fatti è stata lasciata una testimonianza diretta dal partigiano Vittorio Roncaglia, che era parte del manipolo: «La mattina del 23 giugno –ricordo che c’erano i covoni di grano nei campi – io, Nino Piccinini, Giorgio Fontana e uno che era stato nei pontieri e diceva di essere pratico di esplosivi, dalla base di Cerredolo fummo mandati a minare un ponticello sulla Radici, all’altezza del bivio per Baiso e Levizzano. Ci portarono giù con una macchina e sarebbero tornati a prenderci verso sera.

L’ex militare iniziò a minare il ponte mentre noi ci eravamo messi in posizione da dominare la strada che veniva su da Sassuolo. Sono poi capitati lì dei borghesi, con i quali ci siamo messi a parlare. Dopo un po’, prima di mezzogiorno, abbiamo visto alzarsi una nuvola di polvere sulla strada bianca e poi intravisto un sidecar tedesco. Piccinini si è spostato verso il Secchia, io sono rimasto nella parte alta, vicino a una grossa siepe; la gente che era lì con noi è scappata verso il fiume.

Quando ci siamo accorti anche della macchina che seguiva il sidecar era troppo tardi. Piccinini ha cominciato a sparare con il moschetto ma i tedeschi l’hanno centrato subito con una raffica di mitraglia. Io, d’istinto, sono saltato dentro alla siepe fitta e piena di spine e sono rimasto lì tutto il giorno.

I tedeschi hanno catturato Fontana e poi rovistato tutt’intorno, hanno interrogato gli abitanti di una casa lì vicino, (li sentivo parlare) e hanno anche sparato contro quei borghesi che stavano scappando verso il Secchia. Mi sono passati vicino più volte, anche a un metro o due di distanza… Solo quando ha fatto notte sono uscito dalla siepe e lungo il Secchia mi sono avviato verso Cerredolo; sulla strada mi sono incontrato con i nostri che stavano venendo in giù con le camionette».

Il capo del CLN sassolese Ottavio Tassi così nelle sue Memorie continua il racconto:

«Al comando tedesco di Sassuolo, posto nel Palazzo Ducale, il Fontana era sottoposto ad un duro ma affrettato interrogatorio. Dal rapporto fattomi da un nostro informatore, mi risultò che il Fontana, palesando una insospettata sicurezza di carattere, quale possono avere solamente gli eroi, oppose alle domande tedesche il più assoluto mutismo, sopportando con stoicismo ammirevole insulti e percosse. Esasperati dal contegno del partigiano, i carnefici decisero di fucilarlo immediatamente. Dando un’ennesima dimostrazione del loro cinismo, a monsignor Virgilio Franzelli, presentatosi al Comando tedesco per ottenere di poter assistere il condannato veniva risposto che «non ve n’era bisogno poiché il Fontana non sarebbe stato fucilato». Solamente a 15 minuti da tale risposta, cioè alle 10 e 15, il Fontana, calmo, sereno, trasfigurato nello sguardo dalla luce che emana dalla certezza di sacrificarsi per qualche cosa di più grande e di giusto, scortato da una selva di baionette, attraversava il paese seguendo l’itinerario: Via Rocca, Piazza Grande, Via Battisti, Piazza Garibaldi e Via Mazzini e si arrestava di fronte al campo sportivo».

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