di Eugenio Delcroix

La cerimonia [di insediamento della nuova Giunta, n.d.r.] procede senza incidenti all’interno, quando nelle strade scoppiano i primi conflitti. Una bandiera rossa, innalzata sulla torre degli Asinelli, è abbattuta dai fascisti: cominciano gli scontri, quando a far precipitate le tragedia, sopravviene la vigliaccheria e l’impulsività delle masse. Alle revolverate che segnano l’avanzarsi delle squadre fasciste, la folla dei socialisti è presa dal panico. Ben presto parte del pubblico presente in piazza tentò di salvarsi correndo all’interno del Palazzo Comunale, dove alcune persone, scambiate dalle guardie rosse per fascisti, furono colpite. All’interno della Sala Rossa, poi, una persona, che non venne identificata, aprì il fuoco, colpendo, fra i banchi della minoranza, il consigliere Giulio Giordani, che morì di li a poco per le ferite riportate. Il bilancio della giornata fu, oltre al consigliere Giordani, di dieci morti, e di una sessantina di feriti fra il pubblico”1.

Queste le parole di un testimone oculare della strage che avvenne a Palazzo d’Accursio, il 21 novembre 1920; a cento anni dall’avvenimento, non sono ancora state chiarite le dinamiche che avrebbero dato il via libera all’offensiva squadrista fascista in Emilia Romagna.

I fatti di Palazzo d’Accursio rivestono un significato storico importante, in quanto segnarono un passo decisivo nell’avvento del fascismo a livello regionale e nazionale.

Il primo dopoguerra fu un periodo decisamente travagliato per il Paese: oltre ai problemi di integrazione dei reduci, di riconversione dell’economia e della gestione dell’ordine pubblico, tra il 1919 d il 1922 la classe liberale che governava non riuscì a rinnovarsi e a dare stabilità al paese.

In questo periodo una serie di fragili governi si susseguirono l’un l’altro, rimanendo espressione di una minoritaria parte degli elettori, principalmente secondo politiche clientelistiche, e non riuscendo a creare un partito di massa come invece i socialisti prima della guerra e i cattolici popolari dopo erano riusciti a mobilitare.

Tra i partiti politici era quello socialista a destare più paura, in quanto la corrente massimalista (che poi si sarebbe scissa e avrebbe creato il Partito Comunista Italiano a Livorno nel 1921) si batteva “per fare come in Russia”, ovvero attuare una rivoluzione che l’avrebbe portata al potere, in parte già ottenuto a livello locale in numerose municipalità con le elezioni belliche e dell’ottobre 1920.

Nel frattempo una moltitudine di movimenti politici dalle più svariate posizioni ideologiche, molti dei quali composti da interventisti e reduci di guerra, si erano formati in Italia; molti di questi prendevano il nome di Fasci.

Il 23 marzo 1919 in piazza San Sepolcro a Milano l’ex socialista e interventista Benito Mussolini fondò i Fasci di Combattimento, un movimento rivoluzionario composto da anarchici rivoluzionari, nazionalisti e reduci di guerra, con un programma caratterizzato da riforme progressiste e collettiviste.

Questo movimento, nato come anti-partito, si poneva come obiettivo la conquista del potere rifiutando i mezzi parlamentari democratici e agendo tramite la mobilitazione della migliore gioventù italiana che avrebbe operato con azioni violente contro i socialisti, ritenuti i primi responsabili del decadimento morale e civile della nazione.

A Bologna la prima sezione locale del fascio venne organizzata il 9 aprile 1919, tra gli altri, da Pietro Nenni, che gli diede un’impronta repubblicana in contrasto con la linea di Mussolini; tuttavia, la sua attività fu praticamente inconsistente, sciogliendosi poco dopo per l’uscita dei membri cattolici e monarchici.

La sezione locale del fascio venne in seguito riorganizzata da Leandro Arpinati, che si allineò alla posizione di Mussolini e organizzò il movimento in maniera da ottenere un’adesione massiccia e visibilità, anche grazie alle numerose azioni condotte contro i socialisti che erano viste di buon occhio dalle forze produttive e imprenditoriali cittadine e dai possidenti agrari.

Il 1920 fu un anno caratterizzato da numerose agitazioni: prima il grande sciopero mezzadrile che si concluse a favore dei lavoratori agricoli con il trattato di Paglia – Calda (revocato poi dal Prefetto di Bologna nel 1923), poi l’occupazione delle fabbriche a settembre (che interessò Bologna parzialmente) in cui il PSI ottenne una vittoria tattica ma non riuscì a ottenere la mobilitazione sperata, indebolendosi successivamente in lotte intestine.

L’8 aprile 1920 si istituì l’Associazione Bolognese di Difesa Sociale, composta dai ceti produttivi cittadini, con lo scopo di “riunire in stretta compagine tutti i cittadini che rifuggono dalla violenza, di contenere nelle forme civili e sotto l’egida della legge le competizioni politiche e di tutelare lo svolgimento delle attività individuali”2.

Le finalità della neonata associazione erano quelle di salvaguardare gli interessi dei commercianti e degli imprenditori nella libertà del lavoro, come quella di sciopero, e sopratutto di garantire la continuità dei servizi pubblici in caso di manifestazioni.

Forti critiche venivano mosse dall’Associazione nei confronti dell’azione governativa, e laddove lo Stato stesso non fosse stato in grado di garantire la resistenza al socialismo, se essa “non sarà opposta dal Governo, i cittadini finiranno per sostituirsi con esso”3.

Nell’autunno 1920, in vista delle elezioni amministrative, i fascisti bolognesi si coalizzarono nei Blocchi Nazionali di destra e iniziarono un’attività ancora più violenta di contrasto ai socialisti, con attacchi contro le sedi e le persone avversarie.

Gli agrari (quasi tutti di origine nobiliare), di comune accordo con gli industriali e i commercianti, sebbene avessero solo alcune comunanze di interessi ,decisero di arruolare 300 uomini armati, in vista delle amministrative, in difesa dei propri comizi e come strumento di pressione: Il Fascio di Combattimento di Arpinati riuscì a ottenere l’incarico, battendo i Legionari Fiumani e i Sempre Pronti per la Patria, monarchici.

Le elezioni, che si tennero il 31 ottobre 1920, videro i socialisti ottenere la maggioranza (58%), i popolari sorpassarono la lista di destra e il giovane operaio Elio Gnudi venne designato come sindaco.

La conquista socialista di numerose amministrazioni comunali e provinciali del 1920 spinse i gruppi del parlamentarismo liberale all’azione, avvallando il pretesto usato dai socialisti della conquista delle amministrazioni locali come trampolino di lancio per la rivoluzione, utilizzando quindi i fascisti come arma.

Non essendo così riusciti ad ottenere il potere con lo strumento del voto, i fascisti, come dichiarato in campagna elettorale, iniziarono una feroce offensiva nei confronti delle istituzioni socialiste: il 4 novembre 1920 i fascisti, grazie all’intervento delle autorità che simpatizzavano per il movimento, saccheggiarono la Camera del Lavoro di Bologna.

Il 19 novembre un manifesto, dattiloscritto, a firma fascista venne affisso per le strade di Bologna, in cui si invitavano i socialisti allo scontro aperto per le vie della città in occasione dell’insediamento della Giunta socialista e di Gnudi: Cittadini, i massimalisti rossi sbaragliati e vinti per le piazze e per le strade della città chiamano a raccolta le masse del contado per tentare una rivincita, per tentare d’issare il loro cencio rosso sul palazzo comunale! Noi non tollereremo mai questo insulto! Insulto per ogni cittadino italiano e per la Patria nostra che di Lenin e di Bolscevismo non vuole saperne. Domenica le donne e tutti coloro che amano la pace e la tranquillità restino in casa e se vogliono meritare della patria espongano dalle loro finestre il Tricolore Italico. Per le strade di Bologna, domenica, debbono trovarsi solo Fascisti e Bolscevichi. Sarà la prova! La grande prova in nome d’Italia.

IL DIRETTORIO
Bologna, 19 novembre 19204

La mattina del 21 novembre 1920, circa 300 fascisti bolognesi, con anche il supporto di 27 fascisti ferraresi, si presentarono in Piazza Maggiore, con un cordone di polizia che li separava dalla folla radunatasi in piazza per l’insediamento della nuova giunta.

Quello che accadde poi è ancora oggi oggetto di dibattito, e varia a seconda delle ricostruzioni.

Sembra che, nonostante Arpinati si fosse impegnato con le autorità di ordine pubblico a non provocare incidenti, in seguito alla comparsa di una bandiera rossa issata sulla Torre degli Asinelli, l’azione fascista prese il via, scagliandosi contro i socialisti e le Guardie Rosse (guardie socialiste armate utilizzate per il mantenimento dell’ordine nei comizi) a presidio di Palazzo D’Accursio.

Quel che ne conseguì, fu una strage: I fascisti uscirono e arrivarono alla torre; uno, un atleta, andò in un battibaleno – non so come facesse – in cima alla torre, che è alta e ci vuole un po’ di tempo a salirla, e tolse la bandiera; poi, naturalmente, non pensarono di tornare in sede: andarono in piazza. […] Quelli della maggioranza che erano su, nella sala, sentendo questi spari pensarono che i fascisti fossero già arrivati sotto il palazzo comunale, mentre i fascisti erano ancora ammassati vicino a palazzo Re Enzo; erano cioè ancora distanti duecento, trecento metri. In mezzo, c’era la folla. Allora lanciarono delle bombe a mano giù dai finestroni della sala consiliare che danno sulla piazza Maggiore. Conseguenza: otto dei loro sfracellati. […]

I carabinieri, di fronte a questa specie di caos in cui le parti opposte si erano ormai in un certo senso fuse, si misero ginocchia a terra, allo sbocco di via Indipendenza, e cominciarono a sparare verso la piazza. Chi piglia, piglia. Ma sparavano in aria, evidentemente. Però, chi era presente non sapeva se sparavano in aria o in basso, e quindi tutti corsero dietro i portici e le colonne. Fu una scena strana, di cui non ci si rende conto perché, va bene, ci sono molte vie che sboccano in piazza Maggiore, ma in un battibaleno, in un ciak, la piazza era completamente vuota. Era già freddo, c’era un clima autunnale, quasi invernale; allora usavano le capparelle, ma anche pastrani, cappelli, ombrelli, furono abbandonati, per fuggire più sciolti e senza impacci sulla piazza. La quale era nera, pareva che fosse piena di cadaveri stesi un po’ dappertutto. Cosa assurda, impossibile. Quella scena veramente aveva qualcosa di apocalittico”5.

Un’altra testimonianza ci fornisce una visione differente dell’evento:

Separati da un forte contingente di guardie regie vi erano alcune centinaia di fascisti; non di più, alcune centinaia, diretti da Leandro Arpinati e da altri che diverranno poi famosi per la loro azione contro le masse lavoratrici. A un determinato momento, sul balcone si affacciava il sindaco con due bandiere rosse e alcuni assessori; vennero lanciate delle colombe e il sindaco si apprestava a prendere la parola quando cominciarono gli spari; venivano dalla parte dove c’erano i fascisti e da altre parti della piazza”. […]

Ci fu un’esplosione di bombe, di non ben identificata provenienza; la sparatoria aveva provocato un panico generale. Le guardie regie caricarono furiosamente le masse, lasciando i fascisti, dopo averli difesi, fino allora, padroni della piazza. Sul selciato rimasero dieci morti e cinquantotto feriti. Nel momento del panico, viene ucciso, in aula, un membro della minoranza, Giulio Giordani. L’episodio rimarrà oscuro.

I fascisti accusano i socialisti dell’assassinio. È in nome di questo morto che giustificheranno la reazione6.

Se la ricostruzione dei fatti di Palazzo D’Accursio è ancora oggi nebulosa, quello che è certo è che l’evento segnò l’inizio dell’offensiva squadrista contro il mondo operaio e il primo passo per la conquista violenta del potere.

  • 1 Testimonianza del fascista Giorgio Pini, in Onofri Nazario Sauro (1980), La strage di Palazzo d’Accursio: Origine e nascita del fascismo bolognese 1919-1920, Feltrinelli, p. 271
  • 2 ASB, 1920, cat. 7 fasc. 1, Associazione Bolognese di Difesa Sociale, Statuto
  • 3 ASB, 1920, Cat. 7 Fasc. 1, Associazione Bolognese di Difesa Sociale, memoriale presentato al Presidente del Consiglio dei Ministri in Roma il 14 aprile 1920 dalla Commissione eletta nell’assemblea tenuta alla Camera di Commercio l’8 aprile 1920
  • 4 Testimonianza del fascista Giorgio Pini, in Onofri Nazario Sauro (1980), La strage di Palazzo d’Accursio: Origine e nascita del fascismo bolognese 1919-1920, Feltrinelli, p. 260
  • 5 Testimonianza del fascista Giorgio Pini, in Zavoli Sergio (1983), Nascita di una dittatura, Mondadori, pp. 85-89
  • 6 Testimonianza del sindacalista socialista Arturo Colombi, in Zavoli Sergio (1983), Nascita di una dittatura, Mondadori, pp. 85-89