Sarà inaugurata martedì 24 aprile, alle ore 16.30 presso la canonica della Chiesa di San Pellegrino, in via Tassoni n.2 a Reggio Emilia, la mostra permanente su Don Pasquino Borghi e la via delle canoniche.

 

Il 30 gennaio 2018, in occasione del 74° anniversario della fucilazione di don Pasquino Borghi da parte di fascisti repubblicani, è stato collocato nella sagrestia della chiesa di San Pellegrino l’abito indossato dal sacerdote al momento della sua uccisione al Poligono di tiro di Reggio Emilia. L’esposizione della veste talare, depositata in precedenza su volontà dei familiari di don Pasquino all’Archivio di Istoreco, al fine di una restituzione pubblica, rappresenta un atto di memoria verso un’esperienza religiosa e civile di grande significato.

In effetti, nella vicenda storica di don Pasquino Borghi, la profonda fede e il sentimento di apertura evangelica sono la fonte ispiratrice dell’impegno alla carità verso i deboli, i perseguitati e i bisognosi così come dell’esigenza di schierarsi con nettezza per la libertà e l’uguale dignità dell’uomo, vivendo la propria vocazione cristiana con totale dedizione.

Nato a Bibbiano nel 1903 da una famiglia d’origine contadina ed ordinato sacerdote nel 1930, don Borghi esercitò il suo magistero all’insegna di una “radicalità spirituale” che lo avrebbe indotto a misurarsi con scelte impegnative. Infatti, prima l’esperienza missionaria in Sud Sudan come padre comboniano (1930-1937), poi il passaggio alla severa vita contemplativa nella Certosa di Farneta (1938-1939) e quindi l’attività profusa nelle parrocchie di Canolo di Correggio e di Tapignola a Villa Minozzo all’inizio degli anni Quaranta, sono le tappe principali di una biografia interrotta prematuramente dai drammatici eventi della seconda guerra mondiale.

Fin dal periodo trascorso nella parrocchia di Canolo, il sacerdote nel corso della sua azione pastorale non mancò di assumere posizione contro la guerra condotta dall’Italia fascista a fianco della Germania nazista; in seguito, dopo essere divenuto parroco di Coriano – Tapignola nell’alto appennino reggiano, l’armistizio del 8 settembre 1943 impose a don Pasquino Borghi una decisa scelta di campo: entrato nel movimento partigiano con il nome di battaglia di “Albertario”, il parroco fece della canonica di Tapignola un rifugio di perseguitati, di ex prigionieri alleati in fuga dai tedeschi, militari sbandati e partigiani.

La sua canonica rappresentò un importante punto di riferimento nell’ospitare e indirizzare verso il Sud, attraverso il valico dell’Appennino e la Linea Gotica, i prigionieri alleati nonché per il movimento della Resistenza in provincia di Reggio Emilia.

La parrocchia di don Borghi costituì uno snodo cruciale di quella “via delle canoniche” che collegava la montagna reggiana al capoluogo; infatti, nella situazione di vuoto istituzionale creatosi dopo l’8 settembre 1943 le parrocchie diventarono luogo di ospitalità per sbandati, rifugiati, prigionieri, ebrei e per chi cercava scampo e salvezza.

L’opera di assistenza e di ricovero animata dai parroci poteva avvalersi  di numerosi punti di appoggio tra cui anche la canonica della chiesa di San Pellegrino; posta alla periferia sud della città lungo la strada per la montagna, la parrocchia dal mese di ottobre del 1941 era guidata da don Angelo Cocconcelli, un altro giovane sacerdote impegnato nel movimento resistenziale che aveva maturato l’opposizione al regime nazifascista grazie anche all’esperienza svolta tra il 1939 e il 1941 come cappellano degli operai italiani in Germania.

La canonica di San Pellegrino, divenuta dopo l’8 settembre 1943 un punto di riferimento del Comitato di Liberazione Nazionale provinciale, fu visitata da don Pasquino Borghi in occasione del suo ultimo viaggio in città prima della fucilazione. Infatti l’11 gennaio 1944 il parroco di Tapignola incontrò a San Pellegrino don Angelo Cocconcelli e Giuseppe Dossetti, due tra le più autorevoli figure del cattolicesimo antifascista reggiano.

I due esponenti della Resistenza, essendo venuti a conoscenza di un’imminente azione delle autorità fasciste verso Tapignola,  esortarono don Pasquino ad una maggiore prudenza invitandolo a sospendere almeno temporaneamente l’attività di supporto alla Resistenza ed a trasferire altrove i partigiani ospiti della sua canonica.

A questo invito il parroco rispose con parole dalla semplicità evangelica: “Dove li mando questi poveri ragazzi se nessuno li vuol ospitare?”. E poco dopo: “Possiamo anche dare la vita per la causa della patria, non è vero?”. Preso atto della ferma volontà e della determinazione del sacerdote a proseguire nella sua attività, don Cocconcelli e Giuseppe Dossetti rinunciarono ad insistere.

Oltre a testimoniare lo spirito cristiano e l’amore per la proprio paese di don Borghi, le parole pronunciate dal sacerdote facevano trasparire la consapevolezza dell’approssimarsi del martirio. In effetti, pochi giorni dopo, il 21 gennaio 1944 don Pasquino fu arrestato a Villa Minozzo per poi essere trasferito alle carceri di Scandiano e di Reggio Emilia. Venne fucilato, senza alcun processo, insieme agli antifascisti Ferruccio Battini, Romeo Benassi, Umberto Dodi, Dario Gaiti, Destino Giovannetti, Enrico Menozzi, Contardo Trentini ed Enrico Zambonini, nel Poligono di tiro il 30 gennaio come rappresaglia all’uccisione di un milite della Guardia Nazionale Repubblicana avvenuta a Correggio due giorni prima.

La morte affrontata da don Pasquino Borghi con profonda spiritualità, dopo aver confortato gli altri condannati con parole di fede ed impartito la benedizione, era l’epilogo di percorso improntato alla testimonianza cristiana, al coraggio civile e al forte impegno nella storia.

Il 7 gennaio 1947, in occasione delle celebrazioni della nascita del Tricolore, il Capo provvisorio dello Stato, Enrico De Nicola, ha consegnato alla madre Orsola Del Rio la Medaglia d’oro al Valore militare alla memoria del figlio.