Intervista raccolta nel 2021
«… perché lei non deve mica credere che certi truschini si combinino solo a casa nostra, e che soltanto noialtri siamo bravi a imbrogliare la gente e a non farci imbrogliare noi. E poi, io non so quanto ha viaggiato lei, ma io ho viaggiato parecchio, e ho visto che non bisogna neanche credere che i paesi siano come ce li hanno insegnati a scuola e come vengono fuori dalle storielle, sa bene, tutti gli inglesi distinti, i francesi blagueur, i tedeschi tutto d’un pezzo, e gli svizzeri onesti. Eh, ci vuol altro: tutto il mondo è paese».
Con queste parole si esprime Libertino Faustone, detto Tino, il protagonista del libro di Primo Levi «La chiave a stella», operaio specializzato che, sostenuto da un incondizionato amore per il lavoro, va alla scoperta del mondo e, soprattutto, dei suoi abitanti. Levi scrisse quest’opera per celebrare l’umanità che si fa tale anche attraverso il lavoro, la perizia delle mani, la condivisione che unisce le persone impegnate a incidere sulla realtà mediante la loro fatica.
Il nostro intervistato, come Tino, ama l’attività che gli dà da vivere e lo rende uno strumento di conoscenza del/di incontro con altre abitudini, gusti, culture. Esseri umani, semplicemente – perché tutte le parole astratte appena citate si sostanziano sempre, per ciascuno di noi, in un’altra persona. Forse l’aspetto più interessante della storia di Victor/Ilic risiede nell’aver incanalato i suoi ideali e le sue lotte giovanili in direzioni inattese e feconde. L’impegno nella FGCI sul fronte politico-culturale si indirizzò successivamente verso l’attività sindacale, svolta in una storica azienda reggiana, come da lui stesso narrato. Tuttavia, fu probabilmente l’esperienza nel movimento degli Obiettori di coscienza a rafforzare la sua predisposizione al confronto con persone dalle radici differenti dalle sue. In fondo, ascoltandolo, accanto al sano orgoglio per il proprio lavoro, spicca l’attenzione che riserva alla socialità e, più in generale, appunto all’incontro con gli Altri. Ebbene sì, gli Altri con la A maiuscola, gli individui che presentano abitudini, organizzazione del tempo, concezioni esistenziali molto distanti dalle nostre. Ecco allora che Victor/Ilic, accompagnandoci in una galoppata attraverso la sua vita, evidenzia due aspetti di sé. Da un lato, un animo da etnografo curioso e rispettoso, senza preconcetti, disposto ad adeguarsi al contesto in cui si trova paracadutato per motivi di lavoro. Dall’altro, egli, proprio lavorando in contesti lontani, accresce la consapevolezza in merito ai valori e agli aspetti della vita che più gli stanno a cuore e che rimandano alla sua formazione e a quelle pratiche che, per dirla con il filosofo Montaigne «ha succhiato insieme al latte materno». Non è un caso, allora, che nei colleghi cinesi apprezzi l’ospitalità, perno sacro dell’organizzazione sociale contadina entro la quale egli stesso è cresciuto, e la dedizione per il lavoro. A tal proposito, forse sottoscriverebbe l’ultima frase che ci consegna Tino: «Guardi che fare delle cose che si toccano con le mani è un vantaggio; uno fa i confronti e capisce quanto vale. Sbaglia, si corregge, e la volta dopo non sbaglia più».