Intervista raccolta nel 2019

Migrazioni d’Africa

«C’è un treno che passa dall’Angola e dal Mozambico, dal Lesotho, dal Botswana, dallo Swaziland, da tutti i territori interni dell’Africa australe e centrale. Questo treno trasporta giovani e anziani uomini africani che sono stati costretti ad andare a lavorare sotto contratto nelle miniere d’oro di Johannesburg e nei suoi sobborghi, sedici ore al giorno per una paga quasi inesistente». Questa è la prima strofa di una delle più famose canzoni di Hugh Masekela, grande musicista e attivista sudafricano, intitolata “Stimela”, ovvero “treno di carbone”. Il riferimento a questi lavoratori migranti forzati ci consente di riflettere sui processi migratori che hanno attraversato e in parte plasmato, l’Africa contemporanea. Infatti, furono proprio i regimi coloniali a imporre il lavoro forzato, favorendo la migrazione degli africani dalle campagne alle città, oppure verso nuovi centri produttivi (leggi piantagioni). Senza l’accesso alla moneta, consentito da questi lavori, gli africani non avrebbero mai potuto pagare le tasse imposte dai colonizzatori – come per esempio accadeva in Mali. In realtà, sarebbe errato tracciare in poche righe i modelli di migrazione per l’intero continente, senza tener conto delle peculiarità socio-economiche di lungo periodo che connotano le sue macroregioni e senza, d’altronde, tenere sempre a mente che i confini tra i vari territori, che tuttora contraddistinguono gli stati indipendenti, furono tracciati letteralmente con il righello tra il 1870 e il 1885 dagli stati europei imperialisti.

Contrariamente da quanto si possa immaginare, invece, all’inizio del XXI secolo, migrare, in Africa, significa in primo luogo spostarsi entro i confini del proprio stesso stato o, talvolta, verso paesi limitrofi. Da una ricerca commissionata dalla FAO, al di là dei modelli e dei processi migratori tipici di ogni regione, nella stragrande maggioranza degli stati africani, ogni famiglia ha almeno un suo componente emigrato. Inoltre, i migranti interni provengono prevalentemente dalle aree rurali e, nel caso delle donne, non si spostano solo in città, bensì in contesti simili a quelli di partenza. Le migrazioni internazionali, invece, perlopiù interessano gli abitanti delle città – molto probabilmente, su questo aspetto influiscono tanto fattori logistici quanto economici. Perché si abbandona il proprio paese natio e la propria la famiglia? Esattamente come per i migranti di Appennino di cento anni fa (giusto per fare un paragone), chi si sposta lo fa per migliorare le proprie condizioni di vita, anche sul fronte educativo e per cercare un lavoro meglio retribuito. Attenzione: ora come allora, in Africa come nelle aree meno ricche di opportunità della nostra montagna di qualche decennio fa, la migrazione rientra in una strategia di sopravvivenza familiare, che consente a quest’ultima di investire in un suo membro senza compromettere le opportunità per i restanti. Sull’impatto dei migranti africani nelle migrazioni internazionali, sono disponibili molti più dati rispetto a quanto accada per le migrazioni interne – che, paradossalmente, spesso, sono più stabili di quelle transcontinentali e sono meno costose. Tra il 1990 e il 2015, il 12% dei migranti internazionali a livello mondiale sono risultati di origine africana. Tuttavia, i corridoi di migrazione “Africa-Africa” sono tra i più praticati su scala globale, anche se, meno “visibili” dalle analisi – a meno che non si leggano i dati disaggregandoli secondo le variabili del sesso, dell’età e del paese di origine dei migranti. Infatti, il migrante internazionale è perlopiù maschio, in età compresa tra i 15 e i 34 anni.

La città è una meta appetibile sia per chi vive in centri urbani più piccoli sia per chi vive in campagna. Gli unici paesi in cui il flusso di spostamento nel senso inverso prevale sono invece il Sudafrica e il Kenya. Alcuni esperti, dall’inizio del XXI secolo, hanno cominciato a interrogarsi sul rapporto tra sviluppo sostenibile e migrazione, specie in Africa. Ribaltando la prospettiva che vedeva in questo fenomeno un drastico impoverimento del tessuto sociale e produttivo delle aree di partenza, molti studiosi si sono chiesti quali effetti strutturali di medio-lungo periodo potessero apportare alle loro famiglie e comunità di origine. In effetti, le rimesse, il trasferimento di competenze, la creazione di reti relazionali internazionali sono fattori che impattano positivamente sulla società di partenza. In tal senso, dobbiamo considerare che le migrazioni alleggeriscono la pressione antropica sull’agricoltura africana, in piena trasformazione strutturale anche a causa dei cambiamenti climatici. Per concludere, la ricerca prima menzionata conferma, a livello di analisi continentale, ciò che Bamba racconta nella videointervista: le famiglie che presentano un migrante interno o internazionale, presentano un livello di ricchezza e di educazione in media più alto di quanto non accada per le altre famiglie, tanto nelle città quanto nei contesti rurali.