Intervista raccolta nel 2020

Primi passi del diritto d’asilo in Italia

Chissà se al presidente della Repubblica Sandro Pertini sarà tornata alla memoria la sua fuga da Ventotene, in quella tarda primavera del 1979, nel contemplare le immagini di migliaia vietnamiti disperati che fuggivano dal loro paese su imbarcazioni improvvisate, in balia dei flutti e di uomini senza scrupoli pronti a dar loro la caccia per mare. Nessuno dei paesi di quell’area del globo accettò di accogliere bambini, uomini e donne in fuga dal regime che li perseguitava. Eppure, la deriva di quelle persone non poteva ridursi ad una questione di dissidenza interna o, peggio, all’ennesima mossa sullo scacchiere politico- militare asiatico e mondiale. Si trattava di difendere l’umanità e la dignità, ampliando il campo di azione stesso della Costituzione, come fece intendere Pertini, motivando l’avvio di una macchina di soccorso mai vista prima. In sostanza, alla marina militare italiana fu chiesto di riadattare tre navi – gli incrociatori Vittorio Veneto e l’Andrea Doria, con il supporto logistico della nave Stromboli – al recupero e all’accoglienza dei cosiddetti boat people. Partenza da La Spezia il 5 luglio, 30 mila chilometri all’andata e altrettanti al ritorno, 907 persone salvate dai flutti del mare di Siam e dall’indifferenza generalizzata. Una missione di pace che abbiamo quasi cancellato dalla nostra storia recente, ma che racconta molto del ruolo giocato a livello internazionale dall’Italia straziata dalla sua stagione socio-politica più feroce e, non da ultimo, della caratura di Pertini – che il fumettista Andrea Pazienza definì, in quegli anni, “della stirpe degli uomini duri come rocce e puri come bambini”.

Fu proprio dalla seconda metà degli anni Settanta, che l’Italia cominciò ad accogliere i primi consistenti gruppi di richiedenti asilo, divenendo così porto sicuro per gruppi di donne e uomini provenienti prevalentemente dall’America latina delle dittature. Per esempio, nel 1975, l’ambasciata italiana a Santiago del Cile si distinse per l’accoglienza concessa a centinaia di perseguitati politici ed oppositori del regime di Pinochet, che, grazie all’impegno del personale diplomatico in loco e all’atteggiamento favorevole del ministero degli affari esteri, riuscirono a scampare alla repressione e a fuggire verso l’Italia.

Eppure, l’approccio dell’Italia repubblicana rispetto al diritto d’asilo affondava le radici nei postumi immediati della seconda guerra mondiale. Infatti, tra il 1945 e il 1952, l’Europa fu lo scenario di veri e propri esodi di massa, compiuti da persone che non avevano più uno stato di riferimento (apolidi) oppure che erano state costrette a lasciare il proprio paese, per cause di forza maggiore connesse al conflitto. L’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (ACNUR in italiano, UNHCR in inglese), fondato il 14 dicembre 1950, inizialmente sopperì quindi alla necessità di fornire assistenza e di supportare il ricollocamento di milioni di individui nel nostro continente (mentre, in questi ultimi decenni, è l’Africa a detenere il triste primato relativo al numero dei rifugiati). In ogni caso, queste persone furono assistite prima con i fondi del programma UNRRA (United Nations Relief and Rehabilitation Administration, antesignano del famoso piano Marshall) e, successivamente, dall’Organizzazione internazionale per i rifugiati. Al momento dello scioglimento di quest’ultima, nel 1951, in Italia vi erano quasi ventimila rifugiati, che passarono poi sotto la tutela della sezione romana dell’ACNUR. Proprio in quell’anno fu promulgata la convenzione di Ginevra, che per la prima volta fissava la definizione giuridica del rifugiato e i suoi diritti, gettando le linee guida di azione per gli stati rispetto a tale delicata materia. Il nostro paese ratificò la convenzione nel 1954 – ma soltanto nel 1977 il ministero degli interni assunse la competenza per richiedenti asilo e rifugiati.

Se ci affidiamo ai dati ufficiali ACNUR, dal 1952 al 1989 (data spartiacque, tanto sul fronte internazionale quanto, più modestamente, per la legislazione interna riferita allo status dei rifugiati), l’Italia ha accolto oltre 122 mila richiedenti asilo, tra i quali i “non comunitari” erano perlopiù gli indocinesi salvati nel 1979 (ai quali si erano poi ricongiunti spesso i familiari, grazie alla mediazione della Caritas), i cileni già menzionati e, seppure in minor numero, iracheni (caldei e curdi) ed afghani.