GIANETTO PATACINI, IL PCI REGGIANO E IL ’68 CECOSLOVACCO, LETTERE

Cinquant’anni fa, il 21 agosto 1968, le truppe del Patto di Varsavia invadevano la Cecoslovacchia (suddivisa ora in Slovacchia e Repubblica Ceca). Noi vogliamo raccontare quell’evento drammatico attraverso i rapporti personali ed epistolari che Gianetto Patacini, esponente del PCI – che l’anno dopo diverrà segretario della federazione reggiana – vicepresidente della Provincia di Reggio Emilia e assessore alla Programmazione economica, strinse con alcuni dirigenti politici e uomini di cultura del distretto gemellato di Olomouc (oggi in Repubblica Ceca), quali Miroslav Sova, Bohumil Macék, Jiri Hemzal, Josef Gregor. La firma del gemellaggio fra le due amministrazioni venne siglato a Reggio Emilia nel settembre 1964.

Agli inizi del gennaio di quell’anno era stato eletto segretario del Partito comunista cecoslovacco Alexander Dubček, slovacco ed esponente dell’ala riformatrice, che aveva dato avvio a riforme economiche e sociali. Un cambiamento che Gianetto Patacini commenta positivamente scrivendo a Bohumil Macek, presidente del distretto amministrativo di Olomouc, il 30 gennaio 1968, e al professor Josef Gregor, segretario dell’Associazione per le relazioni internazionali di Praga il 15 febbraio 1968. Un processo che il Partito comunista italiano, guidato da Luigi Longo, memore dell’Ungheria 1956, aveva accolto favorevolmente.

Da Olomouc, il 20 febbraio 1968, l’amico giornalista di Radio Praga Miroslav Sova gli scriveva: «Da noi si preparano le elezioni che avranno luogo il 19 Maggio. Aspettiamo l’arrivo della primavera e facciamo i progetti del futuro … ». Il nuovo corso si traduceva in un programma che apriva la “competizione” politica a partiti non comunisti, aboliva la censura sulla stampa e su radio e televisione, garantiva il diritto di sciopero, di viaggiare liberamente all’estero e innescava una serie di riforme economiche e amministrative che applicavano sistematicamente il principio del decentramento e dell’autonomia. E tutto l’entusiasmo che si respirava nella “nuova” Cecoslovacchia è riassunto ancora nelle parole di Sova in una lettera del 24 aprile: «Noi giornalisti, siamo massimamente impegnati a questo periodo revoliucionario che tocca a tutti Cechi e Slovacchi … Gli avvenimenti politici producono una straordinaria attività politica: un nuovo comitato centrale del Partito, un nuovo Capo dello Stato [Svoboda] / molto popolare e amato da tutti / un nuovo governo della Repubblica, nuovi aspetti dell’economia nazionale e della politica estera, libertà per noi giornalisti, riabilitazione assoluta per milliaia di quei condannati illegalmente etc. – tutto questo ci ha attivato tutti … ».

Novità che elettrizzano la società e la politica (una situazione che non si “respirava” in quel Paese dal 1945-48), ma dalla fine di aprile iniziano a emergere i primi ostacoli: «L’elezioni delle amministrazioni, che dovevano aver luogo il 19 maggio, saranno più tardi, forse nell’autunno o ancora più tardi, nella primavera dell’anno prossimo [corsivo nostro]», come lo informa Zdeněk Dobeš, vice presidente del distretto di Olomouc.

Nella lettera di Sova, del 24 giugno 1968, accanto alla speranza albergano motivate preoccupazioni: «Il processo della democratizzazione si è un po’ complicato e i rapporti nel Paese /notevolmente il loro sviluppo / sta rallentandosi». Nel pcc ormai non c’era più una leva fedele a Mosca, perché la maggioranza era per il corso riformista. Dubček rifiutava, però, l’idea che i comunisti dovessero rinunciare al monopolio del potere ed era altrettanto convinto che avrebbe potuto convincere l’urss che la situazione era sotto controllo. Al contrario, invece, i dirigenti del Patto di Varsavia ritenevano ormai indispensabile intervenire. Infatti, il 21 agosto i soldati dell’Armata rossa – insieme a reparti ungheresi, polacchi, bulgari e della rdt – invadevano, seguendo la dottrina “Breznev”, la Cecoslovacchia.

 

«Ora, che nelle strade di Praga risuonano gli spari…»

Il Presidium dell’Assemblea nazionale cecoslovacca, riunitasi lo stesso giorno dell’invasione, inviò ai capi dei governi “fratelli” una dichiarazione di angosciosa protesta, in cui si ripudiava l’ingiustificata occupazione armata del Paese, che aveva violato la sovranità nazionale. «Ora, che nelle strade di Praga risuonano gli spari…», così inizia il documento.

La Giunta e l’Amministrazione provinciale, il Comune di Reggio Emilia e gli organi dirigenti del PCI presero immediatamente posizione condannando l’accaduto. Un errore e non un difetto congenito del sistema: è in sintesi la posizione del pci.

Le drammatiche fasi dell’invasione Patacini le ripercorse in un colloquio con Macek, che incontrò a Olomouc nel maggio 1969, durante una visita ufficiale della delegazione reggiana. Le truppe del Patto di Varsavia, che nel pomeriggio del 21 agosto occuparono la città boema, costrinsero Macek «sotto scorta armata – a fare una dichiarazione alla radio locale, rivolgendo un appello ai cittadini perché accogliessero le truppe come forze amiche che venivano a ripristinare l’ordine socialista. Lo ha fatto premettendo che si trovava sotto scorta armata e che l’appello gli era stato richiesto. Durante la notte i giovani e i cittadini hanno coperto i muri della città di scritte contro l’intervento militare, al mattino la città era deserta, porte e finestre sbarrate, erano esposte solo bandiere nere in segno di lutto. Non avendo ottemperato i cittadini all’intimazione di ritirare le bandiere, queste vennero staccate a raffiche di mitra dai soldati, non vi sono state vittime … È stato un periodo terribile, la famiglia ha vissuto momenti di angoscia, malgrado tale situazione non ha pensato mai di abbandonare il Paese. “Forse, mi dice, si apre per me un periodo di ulteriori sofferenze ma qualunque cosa accada sono e resto comunista, il mio ideale è e rimane il socialismo”».

Patacini, il 27 agosto, scrisse agli amici cecoslovacchi tra cui Macek. Nelle lettere Gianetto esprimeva tutta la sua preoccupazione per la situazione. Tra gli altri, Macek gli rispose il 7 settembre: «È molto difficile scrivere di sentimenti che avevamo nei giorni passati, anche se si sono ammegliorati recentemente. Nonostante questo, devo dire che ho certi pensieri per l’andamento del prossimo, poiché non venissero i tempi della storia triste degli anni 1950. La nostra città è per adesso occupata … Trattiamo quasi senza interruzione e non è facile dipingere quanto ho sofferto gli ultimi giorni … I danni si ripareranno difficilmente. Però il danno più grave, è il cambiamento di mente della nostra popolazione. Questo è veramente molto serio».

Dubček e altri suoi colleghi, subito dopo l’invasione, erano stati arrestati e portati a Mosca dove furono obbligati a firmare un documento nel quale rinunciavano alle riforme e accettavano l’occupazione sovietica.

Una lettera di Macek, dell’8 ottobre 1968, fotografa in chiaroscuro la nuova situazione: «Dobbiamo abituarci alla presenza di militari, perché alcuni rimangono a Olomouc. Abbiamo avuto una nuova conferenza della federacione del partito che era un po’ movimentata. Però, anche questa finiva bene e tutto in ordine. In somma, anche in questo riguardo le cose saranno normali. Alla onv [il distretto amministrativo di Olomouc] siamo tutti come prima. Nessun cambiamento e come sembrano le prospettive, le elezioni saranno nell’anno 1969. Fino a questo termino, tutto rimara come è».

Tante preoccupazioni, e speranze al lumicino, sono ancora espresse in una lettera, del 20 dicembre, di Dobeš a Patacini: «Caro Gianetto, la fine dell’anno savvicina … un anno che ci ha portato molte speranze, ma anche tante delusioni … Tutti speriamo, però, che dopo la seduta della Federazione Centrale del Partito in novembre e dicembre, le condizioni si normalizzeranno. Mi credete che non vorrei un altro anno simile a questo del 1968. … ».

Ma quello che restava della Primavera di Praga brucerà il 16 gennaio successivo quando lo studente Jan Palach a Praga, in piazza San Venceslao, si darà fuoco come protesta estrema contro l’atto di forza delle truppe del Patto di Varsavia e la morte delle speranze per un “socialismo dal volto umano” sono annunciate dalle parole di Sova nella lettera scritta da Olomouc, il 17 febbraio 1969: «Caro amico Gianetto! … La vita da noi corre in tensione continua. Siamo riusciti a salvare la libertà almeno in parte e fortificare l’unità della nostra popolazione. Ma sono forti le frazzioni che vorrebbero restituire la situazione scorsa … Al primo posto sta oggi sta l’economia nazionale … Anche in questo campo appaiono le tentative di mantenere il systema economico dell’epoca precedente, senza tener conto della loro incapacità». Mentre la fine di ogni speranza verrà certificata in aprile, quando Dubček sarà sostituito da Gustav Husàk, un suo collaboratore con una reputazione di antistalinista guadagnata all’epoca dei processi-farsa. Alla sua nomina seguì una repressione più strisciante e meno vistosa, ma non per questo meno chirurgica.

Le prime conseguenze personali le racconterà pochi mesi dopo a Patacini, un altro amico, il professor Jiri Hemzal. Nella lettera del 14 ottobre 1969 scritta da Omolouc, rivela: «Certe difficoltà personali me hanno costretto rimandare il viaggio [a Reggio] a un altro tempo. Purtroppo le disposizioni recentissime significano per me la limitazione del viaggiare normale e quindi anche la possibilità del arrivo a Reggio». E in un’altra di un anno più tardi, dell’8 settembre 1970, Hemzal informa Patacini della drammatica realtà personale che stava vivendo: «Purtroppo i problemi del mio insegnamento vengono nuovamente complicati. Quindi, al marzo ero scancellato dal partito e questo fatto ha decisamente influenzato la decisione della mia attività professionale. Pratticamente ho perduto il mio posto su catedra della economia politica».

Patacini era andato, come già ricordato in Cecoslovacchia, nel maggio 1969, ospite del Comitato di Olomouc. Nelle note che scriverà al suo rientro in Italia, annota: «Gli incontri e le conversazioni, il contatto diretto con la gente mi hanno permesso una più approfondita conoscenza di questa complessa e a volte drammatica realtà, dove assai di frequente alla protesta contro l’intervento militare si accompagnano la sfiducia e la rassegnazione. La svolta del 1968 scaturiva dall’esigenza di uno sviluppo della democrazia socialista, dalla rottura e dal superamento del burocratismo e dal centralismo divenuti elementi di impedimento allo sviluppo ulteriore delle forze produttive, già maturo nelle condizioni oggettive. L’intervento militare ha avuto lo scopo di impedire che tale processo di rinnovamento venisse realizzato determinando una drammatica situazione politica di cui non è possibile intravedere la soluzione». E ancora: «L’intervento militare ha creato per la prima volta nella storia del paese un forte contrasto con l’Urss, soprattutto tra i giovani».

Nel corso della visita Patacini incontra anche Macek, ancora presidente del Distretto di Olomouc. Dai colloqui emerge chiaro un fatto: «non esisteva un reale pericolo di destra». Il futuro per Macek, però, è ormai segnato.

Un altro significativo resoconto del viaggio di Patacini in Cecoslovacchia, nel maggio 1969, risulta dal colloquio che ebbe con Josef Gregor: «Circa le prospettive è molto pessimista – scrive – si andrà a un periodo di epurazioni e allontanamento di dirigenti per affermare il prevalere nel partito della vecchia guardia». Infatti, alcuni esponenti politici e intellettuali amici di Patacini, quali Macek, Hemzal e Gregor erano stati espulsi dal partito comunista cecoslovacco e «collocati in produzione a livelli prevalentemente esecutivi, isolati dal resto dei lavoratori e dell’opinione pubblica».

Rispondendo a una lettera di Dobeš, il 17 marzo 1971, ora presidente del distretto gemellato, Patacini esprimeva tutta la sua amarezza riguardo i provvedimenti contro chi aveva seguito Dubček: «Ebbene Macek non è più nel Partito, e quanti come lui che nono sono stati antisocialisti, sono stati radiati o espulsi? E cosa pensare dopo i fatti di Polonia [1970], anche lì che si è trattato di errori dei dirigenti o non sono in Polonia come in Cecoslovacchia problemi strutturali che riguardano il modo come si è costruita la società socialista».

La fiducia nel «socialismo reale» e della sua evoluzione in senso positivo, nonstante tutto, non veniva meno. Fiducia che era venuta meno invece a chi nel socialismo reale viveva. Nella lettera del 2 settembre 1971, apprendiamo che Giacomina (Zdenka) la figlia di Macek, nata dal suo primo matrimonio, era morta. Patacini scrisse a Macek: «Carissimo Bohumil, abbiamo appreso da Benassi, che ci ha fatto leggere la lettera di Francesca [moglie di Macek] la dolorosa notizia della scomparsa di Giacomina … La decisione di porre fine alla propria esistenza decisa con lucida riflessione, come si comprende dalla lettera di Francesca, è originata dal rifiuto di accettare una realtà cruda e dolorosa che infrangeva tutte le speranze del suo futuro. La morte di Giacomina apre un altro doloroso momento nella vita tua e della famiglia in una fase in cui sei stato colpito e provato da gravi avvenimenti».