MODIANO, Dora Bruder, Ugo Guanda Editore, 2014, pp. 144, 14,50 euro

Non ci si stupisca se tra le recensioni di «RS» appare anche quella di un romanzo. Lo scritto di Patrick Modiano, già apparso in Francia nel 1997 e riedito, con varie ristampe successive, da Ugo Guanda nel 1998, si colloca nel delicato e indefinibile confine che a volte separa la narrazione dalla realtà. Intanto, Patrick Modiano (Parigi, 1945) è stato insignito del Premio Nobel per la Letteratura nel 2014. La sua consacrazione deriva da molteplici scritti che hanno evidenziato un autore «intenso, delicato e terribile», capace di dare voce al desiderio di non dimenticare l’orrore di un passato recente da parte della società d’oggi.
La fortuna critica di Modiano nasce nel 1978, quando riceve il Prix Gouncourt per il suo romanzo Rue des Boutiques Obscures. Da allora la sua rappresentazione del mondo e delle ansie della gente si è sviluppata con un crescendo avvincente.

Dora Bruder non è un romanzo, non è nemmeno una storia. Come ha scritto Pietro Citati, è un libro che nasce da uno scacco: si muove nel vuoto, si agita nel vuoto, attraversa il vuoto, interroga il vuoto, viene deluso dal vuoto; ma da questo scacco nasce la sua bellezza. L’autore, infatti, ricostruisce gesti e pensieri di una ragazza quindicenne, figlia di genitori ebrei: Dora Bruder, appunto. Per un caso fortuito, cinquant’anni dopo, Modiano s’imbatte in un annuncio sul quotidiano «Paris-Soir» del 31 dicembre 1941: i genitori della ragazza ne denunciano la scomparsa e invitano chiunque ne sia in possesso a fornire notizie. Si tratta di un appello disperato, non dissimile da tanti altri di quelle giornate drammatiche.
Modiano è attratto da quell’annuncio e avverte, senza motivo apparente, un forte desiderio di conoscere la storia di Dora, le ragioni della sua scomparsa, l’esito delle ricerche. Inizia, così, un’appassionata ricerca, utilizzando informazioni che man mano recupera, rivisitando i luoghi di Parigi ove la ragazza ha vissuto (e che gli sono familiari, perché lì ha trascorso anch’egli l’infanzia), confrontando dati certi e supposizioni fantastiche, creando un percorso di vita, dalla nascita nella famiglia ebrea alla scuola francese, dai locali ove ha presumibilmente soggiornato dopo l’inspiegabile fuga del dicembre 1941 fino alla sua deportazione a Auschwitz nell’agosto 1942. Senza disporre di elementi certi, ma basandosi soltanto su intuizioni e su lacerti di verosimiglianze, Modiano realizza un racconto esemplare e delinea il ritratto di un’adolescente tenera e misteriosa come Anna Frank. Quasi rendendola simbolo e memoria di tutte le ragazze ebree che soccombono alla violenza razziale nella Parigi della guerra.
Per questo motivo, al di là della forma espressiva e della «consistenza» della storia, il racconto di Modiano merita un posto d’onore tra le recensioni di «RS» a settant’anni dalla fine della seconda guerra mondiale.

Carlo Pellacani