SACCANI, Una questione di soggettività. Genesi del brigatismo a Reggio Emilia, Bébert edizioni, Bologna, 2012, pp. 210, 13,00 euro

Nella pletora di scritti sulle origini e sugli effetti del brigatismo, questo lavoro di Giulia Saccani s’inserisce con l’autorevolezza della verosimiglianza storica, attingendo dati e informazioni dalle fonti disponibili e dal riscontro con i diretti protagonisti.
Giulia Saccani esprime infatti con rigore scientifico i passaggi che, a cavallo tra fine anni Sessanta e inizio anni Settanta, portarono a una nuova temperie politica in Italia. La sua indagine prende le mosse da Reggio Emilia e analizza i fenomeni economici e politici che hanno indotto alcuni a rapportarsi in modo eterodosso al sistema politicoistituzionale del periodo, aprendosi al richiamo metropolitano e passando dal dissenso civile alla lotta armata.

L’opera tende a individuare in quale misura tale processo sia stato influenzato – per ogni soggetto interessato – dal contesto territoriale e dal periodo storico, e in quale misura invece le scelte siano state originate da motivazioni del tutto personali. Corroborato da interviste dirette a tre protagonisti della lotta armata – Prospero Gallinari, Loris Tonino Paroli e Roberto Ognibene – la ricerca si accosta all’epilogo di vicende umane e collettive senza emettere verdetti, ma additando alla valutazione dei posteri una situazione di ambivalenza che serpeggiava all’interno del mondo cattolico e del mondo comunista, fomentata da situazioni preoccupanti che emergevano in ambito nazionale (il tentativo di golpe del generale De Lorenzo del 1964) e internazionale (i regimi militari di Spagna e Portogallo, la dittatura dei colonnelli in Grecia e la fine dell’esperienza di Allende in Cile). Di questa ambiguità si ha la percezione leggendo i resoconti (memoriali e di stampa) di esercitazioni con armi nel fiume Enza e in montagna e la presenza di armi in altre situazioni. «Era considerato necessario essere pronti a difendersi», conclude icasticamente Giulia Saccani, quasi assolvendo una pratica che pare fosse patrimonio di molti mentre invece esprimeva situazioni del tutto marginali. Anche quest’opera, pur risolta con rigore nella ricerca di fonti, lascia aperta l’esigenza di un’analisi storica complessiva del periodo, scevra da influssi e da dipendenze. Ma soprattutto induce a considerare la vera dimensione di un fenomeno che ha avuto le sue vere radici nella frustrazione di una generazione e nell’incapacità del potere politico di fornire risposte ai bisogni della collettività.

Carlo Pellacani