MENTANA, L. SEGRE, La memoria rende liberi, RCS Libri, Milano 2015, pp. 230, 17,50 euro

In un lungo e partecipato colloquio con il giornalista Enrico Mentana, tanto da sollecitare una scherzosa gelosia nella figlia maggiore di quest’ultimo, Liliana Segre affida a questo libro la testimonianza della sua condizione di ebrea e delle sofferenze che le sono derivate dalla ghettizzazione a otto anni di età e dalla successiva deportazione ad Auschwitz-Birkenau a tredici anni. Nel lager tedesco Liliana perderà il padre e i nonni paterni. Lei si salverà, resistendo alla “marcia della morte” cui era stata obbligata all’arrivo delle truppe russe e al successivo trasferimento da Malchow a Ludwigslust ove risiedeva il comando americano. Da quel momento, Liliana ha ormai quattordici anni e mezzo e pesa trentadue chilogrammi, inizia il lento ma graduale ritorno in Italia. E Liliana scopre che nessuno ama ascoltare il suo racconto, ma anche che lei stessa non avverte il bisogno di parlarne, vivendo un’esistenza al di fuori di tutti gli schemi usuali per una ragazza borghese. In questa condizione vive alcuni anni finché, nel 1948, incontra casualmente l’uomo che sposerà. Con lui non potrà negarsi dal raccontare, anche perché l’evidenza del numero che reca inciso sul braccio non lascia dubbi sul suo trascorso di deportata e sulle privazioni che ne sono seguite. Ma la sua “confessione” si salda con quella del futuro marito, anch’egli internato militare e successivamente deportato. Per Liliana, dopo anni di isolamento e di depressione, con il corpo appesantito da eccessi alimentari e dalla noncuranza per la propria salute, si avvera un periodo di serena vita familiare, allietata dalla nascita di tre figli. Ma ancora non avverte il bisogno di rendere pubblica la sua storia.

Trascorreranno trent’anni prima che, per un fortuito incontro, non intraprenda il disvelamento della propria storia di deportata, facendone occasione per fornire informazioni vere sulla Shoah. In realtà, i suoi familiari e amici le faranno sapere che i suoi ricordi sono affiorati mille volte ed essi non vi hanno fornito rilievo per rispetto della sua volontà di mantenere un velo sulla sua esperienza. «Nel 1990 registravo una profonda ignoranza sull’Olocausto», scrive Liliana Segre. E giustifica tale situazione con la convinzione che si trattasse di «una pagina di storia sostanzialmente rimossa fra i non ebrei». Solo il 2000, con la riforma Berlinguer – che ha inserito nei programmi scolastici la storia del Novecento –, e il 2001, con l’istituzione del Giorno della memoria, hanno segnato un miglioramento nella percezione della Shoah. Liliana partecipa alla redazione dell’inventario delle vittime dell’Olocausto, con Giuliana Donati e Liliana Picciotto, e avvia una serie di incontri con il pubblico, preferendo i giovani. Tale attività le frutta riconoscimenti e onorificenze, ma soprattutto avverte di essere «una donna ebrea che ha scelto di assumersi il peso e la responsabilità della memoria» e «il dovere di difendere la verità». Recuperando la propria libertà, che si racchiude nella capacità di non lasciarsi sopraffare dall’indifferenza. Il libro, realizzato con taglio giornalistico ma preciso nei riferimenti e nelle valutazioni, è nato per la collaborazione di Liliana Segre con Enrico Mentana. A quest’ultimo, oltre alla stesura dell’intero testo, si deve un’efficace prefazione, ove viene ricostruita l’adozione, anche in Italia, delle leggi razziali e gli effetti che queste ebbero nelle relazioni interpersonali man mano che i provvedimenti trovavano piena applicazione. Un buon libro, sia per la curatela di Enrico Mentana che per la testimonianza di Liliana Segre: la “buona scuola” che ci si prefigge di realizzare in questi anni dovrebbe adottarlo come testo laico e veritiero da riservare a tutti coloro che non professano o non si riconoscono nella religione ebraica.