Dalla fine di agosto 1944 all’aprile 1945 la campagna d’Italia si svolse soprattutto sulla linea Gotica, il sistema di fortificazioni tracciato dai tedeschi all’incirca tra Pisa e Rimini, appoggiato agli Appennini per gran parte dei suoi 340 chilometri. Soltanto l’ultimo tratto a est era pianeggiante, ma fitto di fiumi, canali e paludi che nel piovoso autunno ostacolavano i movimenti dei carri armati. I lavori difensivi erano stati condotti in gran fretta nell’estate, ma non erano terminati. Si contavano 2400 postazioni per mitragliatrici e 480 per l’artiglieria, 120 chilometri di reticolati e nel settore est una serie di fossati anticarro; le torrette di panzer interrate e i bunker in cemento armato erano però relativamente pochi. Il maggior elemento di forza della linea Gotica veniva dalla geografia: montagne aspre, una breve pianura inzuppata d’acqua, dai primi di settembre pioggia e fango, poi neve e gelo.
Nell’autunno-inverno 1944-45 i tedeschi avevano sul fronte italiano circa cinquecentomila soldati, gli alleati seicentomila. Il grosso di queste truppe era impegnato nelle retrovie; sulla linea Gotica si fronteggiavano in media una ventina di divisioni alleate e venti/ventiquattro tedesche. Queste ultime erano più piccole, sempre a corto di uomini e mezzi, in maggioranza fanteria appiedata di efficienza variabile (dagli eccellenti paracadutisti ai mediocri reparti reclutati in Europa orientale, con piccoli nuclei di fascisti italiani frazionati tra le unità tedesche), con quattro/cinque divisioni mobili Panzer e Panzergrenadieren continuamente spostate per tamponare le falle. Le divisioni alleate erano più grosse e meglio provviste, ma eterogenee: statunitensi, britannici, canadesi, polacchi, indiani, neozelandesi, sudafricani, brasiliani, anche una brigata greca e una ebraica, poi i gruppi di combattimento dell’esercito italiano e formazioni partigiane.
Nel corso dell’inverno l’alto comando angloamericano per il Mediterraneo passò da Wilson ad Alexander, il comando delle armate in Italia da Alexander a Clark, la V armata americana (sull’Appennino toscano) da Clark a Lucian K. Truscott, l’VIII armata britannica (in Romagna) da Leese a Richard L. McCreery. Dalla parte tedesca Kesselring lasciò l’alto comando a von Vietinghoff prima per tre mesi per un incidente, poi definitivamente, poiché il 9 marzo Hitler lo pose a capo di tutte le sue forze in Occidente. La X armata (parte orientale del fronte) passò da Vietinghoff a Traugott Herr, la XIV armata (a ovest) da Joachim Lemelsen a Zigler, poi a Frido von Senger und Etterlin.
Gli alleati avevano una superiorità aerea assoluta, tanto che ogni volta che attaccavano avevano il vantaggio della sorpresa, perché i tedeschi non avevano più una ricognizione. Tuttavia l’impiego dell’aviazione contro le linee tedesche venne limitato dal maltempo e dal terreno montuoso; e malgrado la distruzione di tutti i ponti sul Po, i rifornimenti tedeschi continuarono a passare di notte su traghetti e ponti sotto il pelo dell’acqua. Anche la superiorità alleata in carri armati non era decisiva. Ciò che contava sulla linea Gotica, come già a Cassino, erano la fanteria e l’artiglieria, dove il rapporto tra alleati e tedeschi era ali’incirca di due a uno (con un calcolo approssimativo, settantamila fanti contro quarantamila in settembre).
In Francia gli alleati godevano di una superiorità molto più alta. Lo sfondamento della linea Gotica fu affidato all’VIII armata, tornata sul versante adriatico che era considerato più favorevole perché pianeggiante. Il 25 agosto 1944 polacchi e canadesi traversarono il Metauro con successi iniziali relativamente facili, presto bloccati dall’accorrere delle riserve tedesche. Un grosso attacco di carri fu spezzato, poi cominciarono piogge di una violenza insolita per il mese di settembre. L’VIII armata continuò ad avanzare faticosamente, il 21 settembre raggiunse Rimini e il fiume Marecchia, affacciandosi alla pianura romagnola; ma aveva perso cinquecento carri armati e quattordicimila uomini. I tedeschi avevano avuto perdite maggiori, ma il loro fronte aveva retto.
Nel frattempo la V armata aveva raggiunto l’Appennino e a metà settembre aveva attaccato i valichi tra Firenze e Bologna. Le posizioni della linea Gotica furono superate a prezzo di molto sangue, ma i tedeschi si aggrapparono al terreno retrostante. A fine ottobre le esauste divisioni di Clark si arrestarono a trenta chilometri in linea d’aria da Bologna. Con un noto messaggio trasmesso per radio il 13 novembre Alexander annunciò che le grandi operazioni erano terminate. In realtà l’VIII armata aveva ripreso a progredire lentamente: il 9 novembre raggiunse Forlì, il 4 dicembre Ravenna, il 16 Faenza. A fine anno si arrestò sul piccolo fiume Senio.
In questi mesi la parte occidentale della linea Gotica era rimasta tranquilla, tanto che i tedeschi vi inserirono alcuni battaglioni delle divisioni fasciste, su cui facevano poco affidamento. Il 26-27 dicembre cinque battaglioni tedeschi sferrarono un attacco nella zona di Barga, trascinando alcuni reparti italiani; dopo un brillante successo iniziale furono costretti a tornare sulle posizioni di partenza.
Le condizioni atmosferiche eccezionalmente sfavorevoli furono probabilmente la causa principale del mancato sfondamento della linea Gotica, perché limitarono l’azione dell’aviazione e dei carri armati. Influì anche la ripetuta sottrazione di buone divisioni per l’occupazione della Grecia e per l’ulteriore rinforzo del fronte francese. Le cause immediate furono la crisi del munizionamento d’artiglieria a fine anno e soprattutto le insopportabili perdite della fanteria. Per esempio, in venti giorni di dicembre il corpo canadese perse 2800 uomini, che possono sembrare pochi in rapporto alla sua forza totale ma che erano circa la metà della sua fanteria. Non sorprende quindi se il numero dei canadesi che rifiutavano di continuare a combattere andasse aumentando. Dopo cinque anni di guerra i comandi britannici e dei Dominions facevano il possibile per risparmiare i loro uomini, anche perché era sempre più difficile sostituirli; ma per quanto potente fosse il bombardamento di aerei e cannoni, alla fine erano i mal ridotti battaglioni di fanteria che dovevano tornare all’attacco. E’ significativa l’importanza che vennero assumendo le unità partigiane che affiancavano gli alleati sulla linea Gotica, poche centinaia di uomini male equipaggiati, ma con un alto spirito aggressivo.
Sul piano operativo il successo tedesco era incontestabile. Inferiori per uomini e mezzi, senza più aviazione e con le retrovie insidiate dai partigiani, sempre costrette a subire l’iniziativa degli angloamericani, le truppe tedesche riuscirono a contenere tutti gli sfondamenti cedendo terreno non vitale. I loro soldati erano sempre più giovani, ma addestrati e bene inquadrati, capaci di tener testa ai veterani inglesi, canadesi e polacchi, anche se con perdite gravissime. Sul piano strategico, mantenere in efficienza una ventina di divisioni era per la Germania certamente più costoso che per gli alleati attaccare la linea Gotica, se si pensa che alla fine del 1944 i tedeschi avevano sul Reno circa il doppio di forze che in Italia, ma contro novanta divisioni angloamericane.

L’offensiva finale. Da gennaio ad aprile 1945 si verificarono soltanto azioni limitate. I tedeschi disponevano ancora di una ventina di divisioni, ma il loro livello andava calando per il collasso dei rifornimenti e la scarsezza di uomini. All’inizio della primavera la ventina di divisioni alleate erano invece in buona efficienza; clima e terreno garantivano l’impiego in massa dei carri armati. Inoltre l’aviazione alleata era pronta a gettare nella battaglia tutti i suoi quattromila aerei, anche i grossi quadrimotori, rinunciando a proseguire i bombardamenti sulla Germania.
L’VIII armata attaccò il 9 aprile lungo la via Emilia in direzione di Bologna e più a nord verso Argenta, con due gruppi di combattimento dell’esercito italiano e largo appoggio di partigiani. La V armata si mosse il 14 aprile dalle posizioni appenniniche mirando ad aggirare Bologna da ovest. La resistenza tedesca fu accanita per i primi giorni, poi crollò. Il 21 aprile le truppe alleate entrarono in Bologna con i partigiani; il giorno prima von Vietinghoff aveva ordinato la ritirata generale sul Po, contro gli ultimi ordini di Hitler. Era troppo tardi, il 23 aprile la V e l’VIII armata chiusero il cerchio intorno al grosso delle forze tedesche. Nei giorni seguenti le forze alleate dilagarono in tutta l’Italia settentrionale, mentre le truppe tedesche prima di arrendersi compivano un’ultima serie di massacri di civili. I partigiani si batterono per entrare nelle città prima degli angloamericani; il 25 aprile divenne poi il giorno simbolico della liberazione. In realtà la resa delle truppe tedesche in Italia fu firmata il 29 aprile, ma i combattimenti si protrassero fino al 2 maggio. Mussolini venne fucilato dai partigiani il 28 aprile, Hitler si
suicidò il 30. La guerra in Europa si concluse l’8 maggio 1945.
Nel quadro della seconda guerra mondiale la campagna d’Italia ebbe certamente un ruolo secondario. Le sue motivazioni strategiche essenziali erano già raggiunte alla fine dell’estate 1943 con la resa dell’Italia, l’apertura del Mediterraneo al traffico mercantile, la conquista degli aeroporti di Puglia. Dopo di che il compito affidato alle truppe angloamericane fu sostanzialmente di impegnare e consumare forze tedesche, come consentiva l’abbondanza di risorse degli alleati. La liberazione dell’Italia e le sorti della sua popolazione non avevano rilievo nei piani degli angloamericani, anche se è giusto riconoscere che gli aiuti americani salvarono le regioni centromeridionali dalla fame e che la fiducia nell’arrivo degli alleati incoraggiò la crescita della resistenza italiana.
Nel suo rapporto finale sulla campagna il generale Alexander scrisse che le perdite alleate complessive ammontavano a 312000 uomini contro 536000 tedeschi. Il totale delle perdite alleate sembra attendibile, ma non è possibile scomporlo in morti, prigionieri, feriti e malati ricuperabili o invalidi. Le perdite tedesche includono il grosso dei prigionieri dell’aprile 1945; senza costoro, dovrebbero essere più o meno pari a quelle degli alleati. In termini puramente militari, il logoramento inflitto a una Germania ormai alle corde era stato effettivo. Si può naturalmente discutere se il prezzo pagato dagli alleati fosse accettabile. Ai caduti degli eserciti contrapposti bisogna comunque aggiungere circa diecimila civili massacrati dai tedeschi e circa quarantamila vittime dei bombardamenti aerei angloamericani, per fermarci alle perdite direttamente riconducibili alle operazioni (gli italiani caduti per causa bellica dall’8 settembre 1943 al 1945 furono oltre 215000).

(Tratto da Giorgio Rochat, La campagna d’Italia 1943-45 pp. 202-205 in Dizionario della Resistenza a cura di Enzo Collotti, Renato Sandri e Frediano Sessi, vol. I Storia e geografia della Liberazione, Einaudi, Torino 2000).