La notizia dell’armistizio appresa alle 19,42 per radio suscitò nei reggiani esplosioni di gioia, ma subito dopo preoccupazione (G. Magnanini, 1999)

Qui di seguito proponiamo un riassunto del capitolo L’8 settembre a Reggio Emilia (G. FranziniStoria della Resistenza reggiana):

DISORIENTAMENTO
Gli effetti dell’armistizio dell’8 settembre nella nostra provincia furono disastrosiNella notte sul 9 reparti tedeschi occuparono rapidamente, approfittando della generale incertezza che regnava negli ambienti militari e politici, le caserme e gli edifici pubblici e governativi.
Alcuni episodi di resistenza furono dovuti più al senso dell’onore o al sentimento antinazista di alcuni soldati ed ufficiali che non alle disposizioni del governo.
Praticamente soldati, armi, magazzini militari, furono posti nelle mani dell’invasore.
Ma vediamo nei particolari come si giunse al rovesciamento della situazione nel reggiano.
Nei dintorni della città erano accampati numerosi reparti tedeschi corazzati appartenenti alla divisione SS Leibstandarte Adolf Hitler calati dal Brennero nei 45 giorni il cui comando, che era situato nelle ville del Parco Terrachini. Le SS solevano attraversare verso il tramonto la città in formazioni compatte, riempiendo le vie dell’eco dei loro passi pesanti e delle loro aspre canzoni. Talora, alla periferia, mettevano in bella mostra ritratti di Mussolini protetti da uomini armati di mitragliatori.

La sera dell’8 settembre però, queste truppe lasciarono improvvisamente la città per ritirarsi nei loro accampamenti.
Intanto il Comando del Presidio Militare ordinava ai reparti dipendenti di provvedere alla difesa delle casermeNei confronti della popolazione, gli ordini erano di “non intervenire con le armi contro eventuali dimostrazioni popolari purchè contenute in modesti limiti, e di evitare assolutamente qualsiasi manifestazione ostile alle truppe tedesche”.
La già confusa situazione era aggravata dall’assenza delle massime autorità militari e civili della provincia. Il Col. Francesco De Marchi, Comandante del Presidio Militare, il quale assommava in sé l’autorità di polizia e di governo, era partito il giorno prima per una licenza lasciando il comando interinale al Col. Zunin e quello del Distretto Militare al Col. Vincenzo Cibelli. Il Prefetto Vittadini era stato trasferito a Lecce sempre il giorno 7 lasciando il posto vacante. Il Questore Pietro Lotti era pure assente da Reggio e lo sostituiva il Vice Questore dott. Laudiano. Verso le ore 22,30 si riunirono presso il Comando di Presidio, situato allora nel palazzo della Prefettura, il Col. Zunin, Comandante interinale, il Maggiore dei CC. RR. Foti, il Vice Questore dott. Laudiano e il Capo di Gabinetto del Questore dott. Fargnoli, allo scopo di studiare i provvedimenti immediati da adottare. Il Maggiore Foti e il dott. Fargnoli si espressero a favore dell’impiego delle truppe contro i tedeschi, ma alla fine di una discussione protrattasi fin verso le 23, il Comandante Interinale del Presidio comunicò la sua decisione di consegnare le truppe nelle caserme con l’ordine di opporsi ad eventuali attacchi tedeschi. Furono fatti rientrare anche i pattuglioni che erano stati dislocati alle quattro porte della città.

GLI AVVENIMENTI DELLA NOTTE SUL 9
Dalla mezzanotte alle 2 del giorno 9 le truppe corazzate tedesche circondarono le caserme e la Prefettura. La superiorità tedesca era impressionante e risultava chiaro che la disposizione di tener rinchiuse le truppe nelle caserme era stata un grosso errore. Forse, con qualche iniziativa autonoma, gli ufficiali avrebbero potuto ancora salvare una parte della truppa e del materiale. Ma ogni comando attendeva ordini dal Comando superiore senza ricevere peraltro nessuna direttiva.

Il Comandante del 3° Artiglieria, ad esempio, verso le ore 3, dopo aver sentito raffiche di armi automatiche ed aver avvertito movimenti tedeschi, telefonava al Comando di Presidio; un ufficiale gli rispondeva: “Siamo stati attaccati. I tedeschi chiedono la resa incondizionata”. Successivamente, sempre a mezzo telefono, gli fu riferito che il Comando di Presidio “era in comunicazione con il Comando della Difesa Territoriale dal quale attendeva istruzioni” e che egli pertanto, data la gravita del momento, si regolasse come meglio credeva.

In Prefettura e in Questura venne opposta una certa resistenza, benché i fucili non potessero competere con i carri armati. Il bersagliere Isidoro Favero da Treviso rimase ucciso mentre due agenti riportarono ferite.
Vari posti di Ordine Pubblico, costituiti da 10-20 soldati, vennero sopraffatti. Alla caserma del 3° Artiglieria, ove c’erano tre mitragliatrici e un mitragliatore in tutto, la resistenza fu vivace ma breve. Numerosi mezzi corazzati erano schierati in Viale Antonio Allegri, nella circonvallazione e in Via Franchetti. I tedeschi attaccarono l’entrata principale e poco dopo quella secondaria della porta carraia con armi automatiche, mentre nuclei di SS lanciavano bombe a mano. Nel cortile già si lamentavano vari feriti: reclute ancora in borghese che erano scese al segnale d’allarme. Sfondato il cancello con un carro armato, le SS penetrarono nell’interno ove catturarono e disarmarono gli ufficiali.

Caddero gli artiglieri Giannone Antonio da Palermo, Bertoni Lino da Forlì e Giannotti Carlo da Pesare. Feriti furono gli artiglieri Granato Salvatore da Palermo e certi Castellari, Orselli, Caprari, nonché il S. Ten. Mascarucci e qualche altro di cui si ignora il nome. In tutto 3 morti e 9 feriti di cui uno gravissimo.

Alla Caserma del 12° Bersaglieri fu pure opposta una breve resistenza, ma la rapidità dell’azione tedesca, la superiorità dei mezzi nemici, il già rilevato disorientamento, determinarono la capitolazione.
Tuttavia con un cannoncino anticarro che serviva per l’istruzione e che fu piazzato affrettatamente, si riuscì a colpire un carro armato.

Al Distretto non c’erano che alcuni fucili ’91 e una mitragliatrice male in arnese. Il Col. Vincenzo Cibelli, Comandante interinale, ricevette i parlamentari tedeschi e, giudicando assurdo ogni tentativo di resistenza con truppe pressoché disarmate, concordò con essi la resa. Parlò agli uomini riuniti ed ordinò loro di deporre le armi. I pochi modesti fucili ’91 furono ammassati nel cortile presso l’entrata della porta carraia, ove vennero di proposito distrutti dai cingoli di un grosso carro armato germanico.
All’aeroporto, i soldati potevano contare su una mitragliatrice 1914 e su un centinaio di fucili francesi. Accortosi dei movimenti tedeschi, il comando diede disposizioni per la difesa.

La radio non dava alcun messaggio da Roma, né si avevano d’altro canto notizie da Padova, sede del Comando di Squadra. Cinquanta carri armati attendevano di entrare in azione. I parlamentari tedeschi chiesero la resa che il Comandante accettò per non causare un inutile spargimento di sangue. Per essersi rifiutato di eseguire ordini dei nemici, venne ucciso l’aviere Mario Pirozzi da Napoli.
Nei tentativi sporadici di difesa effettuati presso le varie caserme, si ebbero così 5 morti e 11 feriti italiani. Da parte tedesca un carro armato fuori uso e perdite imprecisate, ma certamente lievi, in uomini.

SOLDATI E CITTADINI
Spezzata ogni resistenza, i soldati italiani di stanza a Reggio vennero ammassati nelle caserme, assieme a numerosi altri che i tedeschi catturavano lungo le vie o alla stazione ferroviaria. Fin dalla notte però erano cominciate le diserzioni. I Comandi non funzionavano più, se non per quel tanto che serviva ai tedeschi, e i singoli ufficiali fuggivano o rimanevano in caserma cercando di mantenere uniti gli uomini quando ormai era dannoso farlo. In mezzo a questo sbandamento, l’unica coerente azione fu quella della popolazione, che dall’alba del giorno 9 in poi solidarizzò in modo unanime coi soldati, prestandosi in mille modi per sottrarli alla cattura.

Gli abitanti delle case vicine alle caserme accolsero e vestirono molti di questi sbandati i quali, in strada, trovavano sempre chi insegnava loro il tragitto migliore o un rifugio sicuro. Si videro donne prendere a braccetto giovani fino allora sconosciuti, uomini vestiti nelle forme più strane sgattaiolare agli angoli delle vie, soldati ancora in divisa infilare portoni di case ignote, certi sempre di trovare appoggio e consiglio.
Il Comando Militare germanico aveva imposto il coprifuoco alle ore 20 e le pattuglie nemiche battevano le strade.
La fraternizzazione fra soldati e cittadini, manifestatasi in modo possente in quell’occasione, doveva continuare a concretarsi anche nei mesi seguenti in altre forme molteplici. L’aiuto si estenderà spontaneamente, e talora in forma organizzata, fin dai primi giorni anche ai prigionieri anglo-americanilasciati in libertà l’8 settembre dai soldati italiani affinché non cadessero nelle mani dei tedeschi.

SERVILISMO DI AUTORITA’ – I PRIMI SABOTAGGI
Il dott. Ugo Guerriero, che aveva assunto la reggenza della Prefettura, fu il primo esecutore di ordini del Comando delle SS che nel frattempo si era stabilito nel palazzo del governo. Costui riunì il personale della Questura incitandolo alla collaborazione con il tedesco.

Un agente obiettò che si dovevano eseguire le direttive del governo, ma il gerarca minacciò di arresto e di fucilazione chiunque avesse osservato gli ordini “antinazionali” di Badoglio ed aggiunse: “da ora in poi farò parlare i fucili”.
Il giorno 9, Guerriero fece affiggere il seguente manifesto:

L’Esercito tedesco ha occupato la Città e Provincia.
E’ assolutamente necessario che tutti siano calmi ed attendano al lavoro.
Le Autorità Tedesche hanno dato disposizioni per il mantenimento dell’ordine pubblico.
Chiunque ardisca turbare l’ordine sarà severamente punito.
I sabotatori saranno puniti con la morte.

Nonostante la minaccia della pena di morte, si registravano intanto i primi sabotaggi diretti contro le truppe tedesche.
Contemporaneamente, in varie località, uomini e donne spesso diretti e consigliati da elementi antifascisti, asportavano grano dagli ammassi.

La fame e la sensazione rapidamente diffusasi che ormai i tedeschi erano i padroni incontrastati di tutto spingevano le masse ad impossessarsi del grano che poteva essere depredato.
Quanto stessero a cuore il grano e il “rispetto dell’ordine” apparve del resto da questo secondo manifesto fatto affiggere il giorno 11 dallo stesso Guerriero:

Seguirono immediatamente altre disposizioni dei comandi tedeschi e delle autorità civili che minacciavano morte e sanzioni severissime contro i detentori di armi, contro i sabotatori, contro chi aiutava od ospitava prigionieri anglo-americani, ecc.

I primi sabotaggi, anche se effettuati da pochi ardimentosi, esprimevano l’orientamento delle masse popolari.

Ma se la spontaneità della Resistenza è un fatto innegabile, non può sottacersi che essa era il frutto dell’azione tenace svolta dagli antifascisti durante il ventennio, azione che il popolo dimostrò, il 25 luglio, di aver inteso nel suo vero significato.

Grande importanza assumeva, agli effetti della lotta armata, l’atteggiamento dei partiti politici antifascisti.
I rappresentanti dei partiti politici già facenti parte del “Fronte nazionale” iniziarono perciò, fin dal giorno 9 settembre, i primi contatti per la costituzione di un Comitato di Liberazione Nazionale.

LE FORZE ANTIFASCISTE
In una provincia dalle tradizioni socialiste come quella reggiana era naturale che l’antifascismo avesse trovato fertile terreno.

IL PARTITO COMUNISTA, alla caduta del fascismo, era il partito antifascista più seguito ed appoggiato fra quelli rappresentati nel Fronte Nazionale. Aveva propri dirigenti, un’organizzazione provinciale che poteva essere messa a disposizione con vantaggio notevole per il rapido sviluppo della lotta armata e uomini esperti nell’attività clandestina.

IL PARTITO SOCIALISTA si presentava con tutta la suggestione della sua tradizione ma aveva poco seguito tra i giovani. Il Partito Socialista, che dopo il 25 luglio era rappresentato nel Fronte nazionale, aveva uomini della vecchia guardia che erano collegati provincialmente, ma non aveva una vera e propria organizzazione.

IL PARTITO D’AZIONE era pressoché senza seguito e senza organizzazione pur essendo rappresentato da persone che dovevano nella direzione della lotta una parte assai importante.

LA DEMOCRAZIA CRISTIANA  non era rappresentata da nessun laico nel Fronte Nazionale. Gli elementi del vecchio Partito Popolare non erano collegati e i giovani erano in gran parte impreparati ai nuovi eventi. Alla data dell’8 settembre non aveva un’organizzazione provinciale. L’atteggiamento deciso di qualche sacerdote o laico che si facevano interpreti della volontà dei giovani avrebbe influito favorevolmente su di esse.

IL PARTITO LIBERALE e IL PARTITO REPUBBLICANO non avevano nessun seguito di massa né personalità disposte a schierarsi nella Resistenza e non saranno nemmeno rappresentati nel CLN provinciale.

LA FONDAZIONE DEL C.L.N. PROVINCIALE
Il P.C.I. non si era lasciato sorprendere dagli avvenimenti. Il 6 settembre il comunista Attilio Gombia aveva portato da Roma la notizia della firma dell’armistizio, che era già avvenuta, ma di cui il Paese era ancora all’oscuro. Gombia e Cesare Campioli poco dopo avevano messo al corrente della situazione l’avv. Vittorio Pellizzi ed era stato convenuto, durante rincontro, che nel caso di occupazione tedesca sarebbe stato costituito a Reggio un Comitato segreto per la lotta armata.
Il mattino dell’8 settembre aveva avuto luogo, nella bassa reggiana, una riunione di comunisti di Fabbrico, Campagnola, Rio Saliceto, Novellara. Aldo Magnani, parlando dell’armistizio già firmato e delle eventuali conseguenze, aveva detto che occorreva prepararsi alla resistenza contro i tedeschi.
La sera dell’8 settembre in Reggio Emilia si riunirono alcuni dirigenti comunisti (Scanio Fontanesi, Armando Attolini, Ferdinando Ferrari, Aloide Leonardi e Gombia) allo scopo di discutere sul passaggio del partito dalla semi-clandestinità alla clandestinità. La sera seguente, presso Montecavolo, si tenne una seconda riunione in cui si gettarono le basi della organizzazione militare del partito. Vi parteciparono, oltre a Fontanesi, Attolini, Gombia, Ferrari e Leonardi, Osvaldo Poppi, Gismondo Veroni, Spero Guidoni, Sante Vincenzi ed alcuni altri. Si parlò della costituzione dei G.A.P. e si procedette alla formazione del Comitato Militare del partito che venne costituito da Alcide Leonardi, quale dirigente, Gismondo Veroni e Osvaldo Poppi. Furono altresì fissati compiti immediati. Veroni avrebbe curato la “bassa reggiana”, Leonardi la montagna. Poco dopo sarebbero entrati a far parte del Comitato Vivaldo Salsi con l’incarico di curare la zona centrale e Ferrari (in sostituzione di Poppi) con l’incarico della raccolta delle armi.

Il giorno 9 settembre si incontrarono in Reggio Emilia Campioli, Pellizzi e il socialista Camillo Ferrari per discutere sulla trasformazione del locale Fronte Nazionale in Comitato Provinciale di Liberazione Nazionale.
Fu convenuto che occorreva affrettare la costituzione del C.N.L.. La prima riunione si doveva tenere presso la canonica di S. Pellegrino, essendosi don Angelo Cocconcelli rivelato a Pellizzi come antifascista. In realtà, essa fu tenuta il 28 settembre nella Canonica di S. Francesco, ospite Don Lorenzo Spadoni.

Vi parteciparono Cesare Campioli, per il Partito Comunista, Vittorio Pellizzi per il Partito d’Azione, Alberto Simonini e Giacomo Lari per il Partito Socialista in assenza dell’ing. Camillo Ferrari, il dott. Pasquale Marconi per la Democrazia Cristiana e Don Prospero Simonelli.

Il 28 settembre 1943, in questa stanza della canonica di San Francesco a Reggio Emilia venne costituito il Comitato di Liberazione provinciale (CLNP)

Cesare Campioli confermò l’esigenza di una lotta armata senza risparmio di colpi e propose la costituzione di un Comitato Militare avente il compito di organizzare squadre partigiane.
Don Prospero Simonelli, pur accettando in linea di principio il programma, manifestò i propri dubbi sulla possibilità di creare formazioni armate e si espresse a favore dell’azione di sabotaggio. Pure Marconi fu concorde con chi propendeva per la lotta armata da condursi con tutti i mezzi.
Questa impostazione non trovò invece consenzienti Simonini e Lari i quali “non accettarono di far parte del Comitato perché questo si riprometteva la lotta armata”, mentre essi affermavano di essere sempre i “vecchi prampoliniani legalitari”. La posizione, che era evidentemente personale contrastava con quella ufficiale del P.S.I. Infatti il Partito Socialista in seguito, continuerà ad essere rappresentato nel C.L.N. dall’ing. Camillo Ferrari Bianchi.

UNA BIBLIOGRAFIA LOCALE
BOTTAZZI WELMORE, Dal disastro dell’8 settembre allo stammlager X  C- 621, in “Ricerche Storiche” n. 70, 1992.
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Franco Tedeschi: dall’ospitalità contadina all’espatrio in Svizzera, in “Ricerche Storiche” nn. 91 – 92, 2001, p. 77.
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MONTANARI OTELLORicordando l’8 settembre 1943, in Ricerche Storiche nn. 20 – 21, 1973, p. 103.
MAGNANINI GIANNETTOIl regime Badoglio a Reggio Emilia, Milano, 1999.
Rapporto sull’attacco tedesco del 09/09/1943 alla Caserma Zucchi, in “Ricerche Storiche” nn 20 – 21, 1973, p. 121.
Venti mesi di guerra civile, 50 anni di dopoguerra, “Ricerche Storiche” n 80, 1996, p. 59.

Scarica il file completo Guerrino Franzini Storia della Resistenza reggiana, cap. 1° L'8 SETTEMBRE A REGGIOEMILIA Anpi Reggio Emilia, 1966, pp. 3-15

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