Poche ore fa è scomparso Remo Fornaciari, una delle colonne del grande legame Reggio-Africa. Una figura generosa, impegnata, discreta, ammirata e stimata in tante nazioni. A dirgli addio, per Istoreco, è la direttrice degli archivi Chiara Torcianti, che con Remo ha lavorato a lungo.
Remo carissimo,
sapessi da quante ore mi sto arrovellando per decidere come iniziare questo breve ricordo, un testo che speravo di dover affrontare il più tardi possibile. Ogni volta che scrivevo due parole, nella mia testa spuntava l’immagine del tuo volto sorridente, dagli occhi acuti e buoni, e una delle tue battute mi trovava con lo sguardo lucido e un accenno di sorriso. Quindi, non posso che rivolgerle direttamente a te, queste parole emozionate e commosse. Abbi pazienza, per favore, come sempre.
Sei nato da una famiglia antifascista, che ha supportato la Resistenza in città, e, pur restando a vivere nel luogo che ti aveva visto ragazzino, hai scelto il rischio della modernità, diventando gestore di una delle prime stazioni di rifornimento cittadine. Hai vissuto tante vite, Remo: hai arricchito il sistema cooperativo emiliano fondando e presiedendo l’attuale Coopservice, ti sei affermato come istruttore di tiro ben oltre il livello locale. Sei stato un militante comunista partecipe e generoso. Soprattutto, hai creato una meravigliosa famiglia con Olga, con la quale hai condiviso un progetto di vita che andava oltre la dimensione, pur fondamentale, della vita coniugale. Con Olga hai, infatti, costruito e vissuto il tuo impegno politico; grazie a lei e con lei, la tua militanza ha acquisito una dimensione che forse non ti saresti mai aspettato. (Lo so, schivo com’eri, non sarebbero di tuo gradimento queste note… Ma mica tutti avevano avuto la fortuna di incontrarti, no?).
Tu e Olga, insieme a Bruna Soncini Ganapini, in questi anni avete incarnato l’essenza stessa della solidarietà internazionale, squisitamente popolare, che Reggio Emilia seppe sviluppare a partire dalla seconda metà degli anni 1960. Prima il supporto a carattere sanitario che la città, guidata dalla giunta di Renzo Bonazzi, offrì al Vietnam aggredito dagli Usa; poi, a partire dal 1970, grazie alla creatività e al coraggio di Giuseppe Soncini, l’impegno speso a fianco dei movimenti di liberazione dell’Africa portoghese, il Frelimo mozambicano in primis. Fu proprio questo ex partigiano, poi quadro della federazione del Pci reggiano e amministratore pubblico, a chiedere a te e a Olga, nel 1973, di accogliere nella vostra casa, che già aveva ospitato guerriglieri mozambicani curati presso l’ospedale di Reggio, un bimbo di quattro anni, dalla pelle scura e dagli occhi di cerbiatto. Si trattava di Samora Machel jr, figlio del leader del Frelimo che guidava la lotta per l’indipendenza del Mozambico. Samito, questo il soprannome del piccolo, doveva essere ospitato in un posto sicuro, dal momento che era un obiettivo estremamente appetibile per i servizi segreti di Lisbona. Per un anno e mezzo, dunque, Samito visse, seppure in maniera discontinua, a casa vostra; non stupisce che, il 25 giugno del 1975, al termine delle celebrazioni per l’indipendenza del Mozambico, fosse proprio lui a presentare te e Olga come la sua famiglia italiana al presidente Samora Machel, suo papà. Ecco la peculiarità dell’internazionalismo popolare targato Reggio Emilia: collocare un’istituzione pubblica, come il comune o l’ospedale, al centro di questo movimento solidale, fondandolo, al contempo, su solidi legami personali, di militanza e di amicizia.
E tu, Remo, hai vissuto appieno quell’incredibile periodo della nostra storia, un periodo nel quale i figli dei leader africani in lotta anticoloniale trovavano una casa nel cuore di Reggio, nel quale l’African National Congress di Nelson Mandela dialogava più proficuamente col comune reggiano piuttosto che con i palazzi del potere romano. Sei stato silenzioso protagonista di quegli anni, ma soprattutto hai agito come costruttore di ponti e di relazioni che tuttora portano frutto e fioriscono e crescono, sforzandosi di seguire la rotta tracciata da te e Olga, da Bruna e Giuseppe e da tante altre e altri reggiani che hanno reso questa città un emblema di umanità e di impegno militante a livello internazionale. Quanta storia e quante storie vorrei raccontare ancora, Remo… Ma temo che non apprezzeresti molto, vero? Proviamo a fare così, allora. Un ultimo ricordo e un’ultima riflessione poi la smetto di parlare troppo, almeno per oggi.
Un ricordo. Il presidente dell’African National Congress in esilio, il mite e autorevole Oliver Reginald Tambo, l’uomo che ha sacrificato la sua intera vita per creare e rafforzare a livello globale il movimento anti-apartheid, l’amico di Mandela che per trent’anni non ha potuto rivedere il suo paese e che considerava Reggio la sua seconda casa, più volte ammise di non essere tranquillo in nessun posto al mondo quanto lo era nella nostra città: a vegliare sulla sua incolumità c’eri tu, Remo, con la tua squadra, e tanto bastava per farlo sentire in ottime mani, avvolto da una rete di sicurezza, oltre che di rispetto e di amicizia.
Già, l’amicizia. La stessa che hai riservato a esuli e a partigiani di paesi dall’altro capo del mondo, l’hai poi donata anche ai giovani impegnati e curiosi che, una ventina di anni fa, cominciavano a riscoprire questa straordinaria storia di internazionalismo comunitario. Tu e Olga avete spalancato casa a questi ragazzi e ragazze e, insieme con Bruna, avete condiviso con loro la vostra esperienza, le vostre riflessioni, il vostro entusiasmo inesauribile. Negli ultimi anni, avete accolto anche noi, i vostri pacifici (e casinisti) “guerriglieri” di Istoreco- Archivio Reggio Africa: non ci sono parole per ringraziare ancora te, Remo, e con te Olga e Bruna, per l’affetto e la fiducia con cui ci avete sempre fatti sentire a casa. E parte, piccola ma tenace, di quella esperienza che per voi ha significato sacrificio, utopia, fatica, gioia. Vita, insomma.
Fai buon viaggio, Remo.