Mario Rigoni Stern è senza dubbio uno degli scrittori più rappresentativi della apocalisse che fu il secondo conflitto mondiale. Quella dello scrittore è stata una gioventù in balia degli eventi storici, anche quelli precedenti alla sua nascita: originiario di Asiago, vive sulla sua pelle di fanciullo la distruzione del primo dopoguerra e la ricostruzione dell’Altopiano, mentre da ragazzo vive e scala su quelle montagne che un decennio prima furono teatro di uno dei più terribili dei conflitti; appena maggiorenne viene arruolato negli alpini e catapultato nel primo intervento militare del regime fascista con l’attacco alla Grecia, rivelatosi poi più duro e costoso, in temini di vite, del previsto; la spedizione dell’Armir e conseguente ritirata; la prigionia nei campi tedeschi dopo l’8 settembre ed infine parte della Resistenza.

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L’opera ci racconta di un Mario Rigoni alle prime prese con la guerra, contro i greci ma anche contro il gelo delle vette albanesi, la fame, l’incapacità degli ufficiali di gestire la truppa in un conflitto che, da similcopia della “blitzkrieg” tedesca, si trasformerà in un dura guerra di posizione e le alte sfere del governo, in primis Mussolini. Proprio il duce, informato sull’andamento della campagna greca dirà: “Questa neve e questo freddo vanno benissimo, così muoiono le mezze cartucce: e si migliora questa mediocre razza italiana”. “Quota Albania” è la trascrizione del diario che Rigoni teneva aggiornato, forse già con l’intenzione di raccontare il tutto al ritorno, sull’esperienza greca. È qui che il giovane Rigoni conosce i primi orrori; “Il sergente nelle neve”, sulla spedizione e ritirata in Russia, lo vedrà più maturo, nonostante la giovanissima età.

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Mario Rigoni Stern