COOKE, L’eredità della Resistenza. Storia, cultura, politiche dal dopoguerra ad oggi, Viella Libreria Editrice, Roma, 2015, pp. 384.

L’apporto olistico di Philip Cooke, fondato su un’analisi che risente di una concezione anglosassone della memoria che non risente di legami ideologici o di visioni strumentali o puramente celebrative dei fenomeni, intende colmare il divario esistente – nella definizione dell’eredità etico-civile della Resistenza per il popolo italiano – tra l’indagine storica e l’analisi culturale. Non c’è alcuna scelta preordinata nel processo risarcitorio della consistenza della cultura resistenziale in Italia, a settant’anni dalla fine del conflitto mondiale: Cooke si avvale di informazioni e riferimenti che derivano dalla storiografia più accreditata, ma anche di testi letterari, film, monumenti, canzoni, arti visive, mettendo insieme, nell’ottica di una riflessione critica, l’ormai imponente corpus di ricerche sull’interazione tra storia, cultura e uso pubblico della storia.

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C’è, invece, una constatazione amara: se la cultura della Resistenza ha ricevuto notevole attenzione, stimolando numerose ricerche su testi letterari e cinematografici, non vi è però ancora stato un vero e proprio tentativo sistematico di collocare quelle opere nel più ampio contesto storiografico e politico in cui esse nacquero, in modo da poter meglio valutare il ruolo e, in definitiva i successi e i fallimenti, della cultura della Resistenza sul lungo periodo. Si tratta di un incipit provocatorio e dissacrante, che toglie smalto e significatività a buona parte dei molti studi che sono stati effettuati sulla Resistenza, ma anche all’impegno formativo che dovrebbe essere stato proprio della Scuola e dei Partiti.

“Tradendo” apparentemente la sua identità di storico, ma condividendo la tesi di Rousso che i libri di storia costituiscono un fondamentale vettore di memoria, l’autore sembra affiancarsi a Luisa Passerini nell’attribuire a molti testi letterari pubblicati negli anni Novanta la capacità di collocare il recente passato in una prospettiva più ampia e complessa, una prospettiva nella quale non consideriamo più noi stessi e i nostri avversari come delle entità prive di ambiguità e monolitiche.

I riferimenti documentali attraverso i quali Cooke, con una capacità descrittiva fluida e avvincente, giunge a queste considerazioni riguardano tutta la storia civile e politica italiana dal 1945 ad oggi, mettendo in luce le contraddizioni e le forzature che hanno caratterizzato le scelte dei maggiori partiti (il Pci, soprattutto, ma anche le forze d’opposizione parlamentare), allontanando – invece che attrarre – le masse popolari da una comprensione degli ideali e delle attese della lotta di Liberazione. In tale contesto sono proliferate interpretazioni distorte o parziali del fenomeno, creando scarsa consapevolezza che la Resistenza fu il movimento di una minoranza (in massima parte) virtuosa, segnata sì da numerosi problemi e contraddizioni, ma che dette un contributo importante a porre fine al più violento conflitto dell’epoca contemporanea.

Lo consigliamo perché…

Cooke, che ha svolto la sua ricerca soggiornando a lungo in Italia (ove ha potuto confrontarsi con studiosi di casa nostra e fruire dei materiali custoditi in archivi universitari e di Istituti per la storia della Resistenza come Istoreco), rivolge un convinto appello agli storici italiani affinché assumano un ruolo più attivo nella spiegazione del passato italiano, rendendo accessibili le loro considerazioni ad un pubblico più vasto di quello che finora si è riusciti a coinvolgere, come hanno fatto – a suo parere – Santo Peli con Storia dei Gap e Sergio Luzzatto con Partigia. Il rischio insito in tale scelta è che si finisca per sostituire una versione della storia sostenuta per fini politici (com’è avvenuto finora) con una visione derivante da valutazioni meramente storicistiche. Nonostante ciò, scrive Cooke, gli storici non possono rinunciare a svolgere un ruolo civile, e devono essere consapevoli dell’importanza della loro disciplina anche al di fuori dei confini accademici. Anche se ciò puo’ inserirli in un agone non sempre rispettoso del contesto in cui si sono svolti i fatti e delle motivazioni individuali degli attori coinvolti.

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