Il 15 aprile 1945, oltre a Fosdondo e Rolo, anche un altro paese della Bassa si trova al centro di episodi di violenza.

I tre fucilati di Campagnola

Nel corso di un’azione di rastrellamento di reparti fascisti (30° Brigata Nera) nei comuni di Fabbrico, Rio Saliceto e Campagnola, in questo paese sono fermati 25 uomini, condotti al comando locale della Brigata Nera. Dopo l’interrogatorio, tre di essi vengono fucilati in luoghi diversi del paese.
Il ten. Alberto Lodini, che comandava l’azione, è condannato a morte dalla CAS di Reggio Emilia il 14.9.1945. La sentenza è annullata, l’imputato viene rinviato alla CAS di Modena che nel maggio 1946 commuta la pena in 30 anni di carcere, già nel febbraio 1950 Lodini chiede la grazia o la libertà provvisoria.

Vittime
Bellesia Pierino (1927)
Piron Giovanni
Salati Carlo (1920)

I fatti di quel giorno sono ricostruiti nel memoriale di Orlando Ferretti in RS-Ricerche Storiche :
FERRETTI R. (a cura), Orlando Ferretti, il mio diario. Campagnola Emilia, ricordi della Liberazione, 110, 2010.


Da: R.Ferretti (a cura), Orlando Ferretti, il mio diario Campagnola Emilia, ricordi della Liberazione

in RS-Ricerche Storiche, n.110, 2010

(…)
Si sentiva già odore di liberazione, però la lotta in quei giorni era sempre più dura e rovente. Mia sorella Dolores che era staffetta partigiana, la sera del 14 aprile ’45 mi avvertì che il giorno seguente, 15 aprile, ci sarebbe stato un rastrellamento a Campagnola.
Ricordo bene quel periodo e quella notte, non riuscivo a dormire. Mi alzai che erano le due di notte quel maledetto 15 aprile 1945 mi misi alla finestra della mia camera da letto, mi sembrava di sentire chiacchierare nel paese, in possibile, c’era il coprifuoco, di notte non si poteva uscire di casa, c’era il pericolo della morte. Uscii dalla mia camera da letto, andai in fondo al corridoio, c’era una finestra per assicurarmi se era verità che ci fossero persone fuori a quell’ora.
Pochi minuti dopo sentii avvicinarmi da una persona, era Bellesia Pierino. Dialogando, pure lui mi diceva che non riusciva a dormire, senza sapere che alla mattina c’era un rastrellamento. Certe notizie non si poteva manifestarle. Io lo sapevo perché mia sorella era partigiana, c’erano le spie da ambo le parti, perciò era pericoloso parlare. Infatti, anche lui sentiva chiacchierare nel paese, mi diceva se erano partigiani perché lui non li aveva mai visti. Io non risposi sempre con la paura del compromesso. Non credevo che fossero fascisti, e non potevo dire: «sono partigiani», preferii il silenzio, perché il giorno dopo poteva dire inconsciamente: «Orlando a (sic) detto che erano partigiani», questa frase poteva essere trasportata da una spia fascista, poteva crearmi seri guai.
Dopo un periodo Pierino che era in maglietta sentì il freddo, mi disse torno a letto. Andai alla finestra della mia camera da letto, erano le tre di notte mi sembrò di vedere nel buio due militi armati che camminavano per strada, li vidi a ritornare indietro, con stupore mi accertai che erano fascisti.
Subito diedi l’allarmi ai miei colleghi alla Casa bianca abitavano in 17 famiglie. Eravamo in sette disposti ad uscire di casa e scappare in campagna, ma purtroppo era già tardi. Noi sette pericolosi per essere braccati abbiamo pensato di nasconderci in solaio con fascine contro all’uscita, con la speranza che mai più trasportavano le fascine per scoprirci.
Mia sorella Dolores ci avrebbe avvertiti se i fascisti fossero entrati in casa sbattendo le finestre della camera da letto che si trovavano sotto al solaio dove eravamo nascosti. Dopo pochi minuti di silenzio si sentì sbattere le finestre. Si sentivano delle voci che salivano le scale, infatti, arrivarono su nel solaio. Bruschi Abramo, Codogni Camillo, Bompani Afro, Bellesia Pierino, Zulini Francesco, Lugli Andrea, e il sottoscritto Ferretti Orlando. Noi sentivamo tutto quello che dicevano, insistevano che uscisse Pierino, però i fascisti non sapevano che eravamo in sette nascosti dietro le fascine, compreso Pierino.
Però senza che nessuno parlasse, Pierino uscì dal buco.
Noi sentimmo, si sentiva una voce che chiedeva la carta di identità, poi subito un’altra, «allontanati che le carte gliele do io», si senti un colpo di pistola, le grida del padre e della sorella di Pierino che erano presenti compresa mia sorella.
Fecero scendere le scale di corsa a Pierino, con una pallottola nei polmoni; fatta la prima scala stramazzò a terra. Il padre s’avvicinò per sollevarlo ma quel fascista che gli aveva sparato ordinò al padre di allontanarsi dicendo che era un partigiano e che doveva continuare a scendere le scale di corsa da solo. Con quell’episodio tutti seguirono Pierino al paese, la casa si liberò dai fascisti armati.
Piano piano, uscimmo dal solaio, erano le ore nove chi scappò in campagna, che si nascose di nuovo, io andai dal mio datore di lavoro a nascondermi, mi seguiva mia sorella Dolores.
Andai sul fienile, Dolores mi coprì con delle balle di paglia. Pensando un ritorno dei fascisti, Dolores conosceva il mio nascondiglio involontariamente si tradisse, pensai di cambiare nascondiglio, andai entro all’abbeveratoio delle mucche, era pieno di acqua. Ma quell’epoca l’acqua era troppo fredda che non riuscii a resistere. Uscii di nuovo, fu la volta di una botte sporca del pozzo nero. Dopo pochi minuti sentii pronunciare il mio nome, era un certo Zulini Rinaldo che mi annunciava le Brigate nere, così si definivano i fascisti, avevano portato via mia sorella Dolores, perché non mi sono presentato io, solo la mia presenza poteva liberare Dolores.
Il mio nome venne fatto perché Iolanda era incinta, hanno chiesto chi era stato a mettere incinta, Zulini fece il mio nome, ecco l’arresto di Dolores, (pensa, Realino, mi hai dato grattacapi fra virgolette prima di nascere, intendiamoci scherzo).
Venni a casa trovai mia madre disperata, senza esitare mi cambiai perché ero tutto sporco, partii per dare il cambio a mia sorella Dolores. Seguito da mia madre a distanza, perché non volevo che venisse con me. Mi presentai al comando fascista per dare il cambio a mia sorella. Fecero uscire dalla prigione mia sorella e mi fecero entrare. Ricordo benissimo che mia sorella non voleva lasciarmi, io la pregai di andarsene a casa, fra l’altro io sapevo che lei era staffetta, perciò molto pericolosa se l’avessero riconosciuta.
Entrai in prigione, guarda caso trovai Marzi Geminiano e il figlio Gino, mio suocero e cognato, perché sposai Marzi Iolanda, in più trovai in prigione un certo Lodini dove io prestai servizio come lavoratore agricolo all’età di 15 anni. Restammo in prigione poche ore, in quel periodo di detenzione, spalancarono le porte della prigione, ci presentarono un certo Morellini Selvino che io conoscevo bene, nato a Campagnola, tutto sporco di sangue perché l’avevano torturato, le dissero, trova fuori un partigiano in questi prigionieri, altrimenti sai cosa ti spetta.
Per tutta risposta disse: «questi sono tutti lavoratori, brava gente», chiusero la porta della prigione portando con se Selvino.
Erano circa le ore 16 del pomeriggio 15 aprile ’45 si apre di nuovo la porta della prigione, ci fanno uscire tutti e quattro, si portano al comando che si trovava in Comune, ci fanno attendere davanti alla porta del comando per entrare uno alla volta, venne la volta mia, entrai, mi chiese il nome il comandante e la carta d’identità. Stavo sfilandola dal portafoglio quando il comandante che mi interrogava me lo strappò di mano. Osserva tutti i documenti, mi disse: «tu dovresti essere militare», non feci in tempo a rispondere, che una voce che io non vidi, rispose di no.
Ancora oggi penso che questa voce fosse un fascista di Campagnola che conosceva bene la popolazione, e perciò restava nascosto per non farsi conoscere. A mia presunzione il «no» voleva dire lasciatelo libero, e il «sì» arrestatelo. Quelli che arrestavano li mettevano su per le scale del Comune chiudevano il cancello, con la presenza dei fascisti armati, sicché non potevano scappare.
Il comandante appena mi disse che potevo andare, volevo fare i passi normali, ma il piede appena toccava a terra, non so il perché, subito si alzava. Mai in vita mia ho riscontrato tale agitazione.
Appena fuori dal Comune, non avevo ancora attraversato la piazza, un militare mi chiamò, gli andai incontro, allungò la mano consegnandomi la patente di guida. Dalla fretta di uscire non ho raccolto tutte le mie cose. Arrivo a casa, imparo che Bellesia Pierino è stato fucilato ai margini dell’ospedale Baccarini. Ferito su nel solaio hanno fatto correre al comando dei fascisti, senza dubbio l’avranno interrogato, e poi con due militi armati lo avranno portatato ai confini dell’ospedale. Sul cancello dell’ospedale c’era il dottore di nome Zocco attendere, era un forestiero.
I due militari arrivati al cancello dell’ospedale il dottore disse (sempre a voce di popolo): «Avete bisogno di me?» Risposta: «Ci pensiamo noi a curare questo ferito». Sono arrivati ai confini della recinzione dell’ospedale e lo hanno fucilato.
La medesima sorte toccò anche a Salati Secondo. Però Salati fu fucilato in fondo al recinto del parco di Conti; un’altra esecuzione fu fatta sempre la medesima giornata, quel maledetto 15 aprile 1945, la terza esecuzione fu eseguita all’altezza del caseificio di Fontanesi.
Il disgraziato era un militare sbandato che tentava di raggiungere la propria casa a piedi, si chiamava Piron.
Mentre si stava parlando di ciò che era successo in quella brutta giornata, abbiamo imparato che le Brigate nere erano partite da Campagnola con i tutti i fermati alla volta di Reggio. Ero molto spaventato, non ricordo chi portò a casa Pierino morto. Sempre a voce di popolo, poi in seguito si riscontrò la verità, i fascisti dovettero lasciare i prigionieri di Campagnola a Bagnolo, perché altri fascisti che avevano rastrellato altri paesi e fatte altre rappresaglie si erano scontrati con i partigiani, perché stava scendendo la sera. I partigiani diedero il contraccolpo, quale zona del contrattacco non lo so, e tanto meno i risultati.
Appena buio, poco prima del coprifuoco, è stato detto il Santo rosario per il povero Pierino adagiato sul letto. Finito il rosario, spariti tutti, ognuno si è chiuso a chiave nella propria camera da letto.
Ricordo che sono andato nella camera da letto di mia madre assieme a tutte le sorelle. Eravamo in una camera unica, eravamo tutti terrorizzati perché si temevano altre rappresaglie.
Non dimenticherò mai quella notte, perché mi sono trovato in piedi a mezzanotte, senza accorgermene, nel profondo sonno. Al mattino, del 16 aprile, mi accorsi che il giorno prima non avevo mangiato
(…)
Ricordo che un certo Lodini Alberto nativo di Campagnola faceva parte della repubblica di Salò, perciò un capo fascista tanto più comandante della piazza di Campagnola quel maledetto 15 aprile 1945. Fu ucciso Bellesia Pierino, Salati Secondo e Piron. I partigiani fecero richiesta al Comando alleato per portarlo a vedere il misfatto del 15 aprile, che lui senz’altro conosceva bene.
Glielo consegnarono, lo fecero inginocchiare davanti alla lapide dei tre martiri, però era protetto dai partigiani, armati, nessuno lo poteva toccare. Molte persone seguivano questi raffronti di parole se ne sentivano di tutti i colori, ricordo solo una: «A Lodini gli facciamo il funerale prima di morire».
In conclusione, a questa data 11 dicembre ’78 Alberto Lodini si trova libero.