Il Sindaco della Liberazione fra i firmatari di un appello per la liberazione del comunista sardo nella Parigi degli anni Trenta

 

 

La polemica storiografica innescata da un saggio di Dario Biocca sul presunto “ravvedimento” di Antonio Gramsci in carcere per ottenere da Mussolini la libertà condizionale, ha messo in luce la figura di Cesare Campioli nell’emigrazione reggiana in Francia negli anni Trenta del secolo scorso.
Nell’articolo di risposta di Bruno Gravagnuolo («l’Unità», 7 aprile 2012) a Biocca, in un palchetto, è pubblicato l’elenco dei firmatari l’appello per la liberazione di Gramsci, datato 23 maggio 1933, nel quale figura anche il nome di Cesare Campioli.
Accanto al nome del futuro sindaco di Reggio figurano intellettuali quali Romain Rolland, Henry Barbusse ed altri fra cui Eugenio Bianco, antifascista e poi informatore del fascio di Parigi. Si capiscono, di conseguenza, le difficoltà in cui operava l’opposizione al fascismo nell’emigrazione strettamente vigilata, e infiltrata, dall’occhiuta polizia segreta del regime, l’OVRA.
Infatti, come si legge in una circolare firmata da Carmine Senise, vice capo della Polizia, a nome del ministro, indirizzata a diversi prefetti, fra i quali quello di Reggio Emilia, datata 16 giugno XI (1933), e depositata presso il Casellario politico centrale, compare il nome di Campioli proprio in riferimento alle iniziative promosse a favore della liberazione di Gramsci e tutto il resoconto della riunione.
Da lì a pochi mesi il dirigente comunista sardo dal carcere di Turi, dov’era rinchiuso dal luglio 1928, sarà trasferito, già gravemente malato, prima nel carcere di Civitavecchia e poi ricoverato nella clinica del dottor Cusumano di Formia, in cui rimase dal dicembre 1933 all’agosto 1935. Nell’ottobre 1934 intanto era stata accolta da Mussolini la richiesta di libertà condizionale. La salute di Gramsci però peggiorava. Finalmente gli fu concesso il trasferimento nella clinica Quisisiana di Roma. Nell’aprile del 1937 riacquistò la piena libertà ma pochi giorni dopo, il 27 aprile, morirà per emoragia cerebrale. Aveva 46 anni.

 

Il dibattito storiografico, che da anni affronta la complessa questione dei rapporti fra l’URSS, Togliatti e il Prigioniero, di recente si è ulteriormente arricchito del lavoro di Franco Lo Pipero (I due carceri di Gramsci. La prigione fascista e il labirinto comunista), che apre un’imprescindibile lettura sul rapporto di Gramsci con il comunismo della Terza internazionale.
In questa sede, però, ci limitiamo solo ad accennare al tentativo di liberare per via burocratico-amministrativa il dirigente comunista sardo dal carcere fascista perché attinente al nostro tema e senza entrare in altri risvolti già oggetto di indagini di ricercatore come Lo Pipero e altri.
Nei primi mesi del 1933, il prof. Arcageli, medico di fiducia di Gramsci, aveva avuto l’incarico di certificare l’incompatibilità del Prigioniero al regime carcerario. Gramsci avrebbe voluto la massima riservatezza, una volontà che verrà infranta dalla stampa comunista internazionale che riprodusse il certificato medico e dalla campagna per la sua liberazione. Ciò che Gramsci temeva era che le autorità fasciste, e Mussolini in primis, di fronte a manifestazioni internazionali contro il regime bloccassero ogni decisione per la sua liberazione, o almeno per quella condizionale che, come abbiamo visto, fu accolta solo nell’ottobre del 1934, quasi un anno e mezzo dopo, mentre quella per la completa libertà solo pochi giorni prima della morte.

Un altro episodio che riguarda ancora l’attività di Campioli nell’emigrazione parigina, sempre a favore dei prigionieri del fascismo, in cui il nome di Gramsci compare nella nota informativa della spia di turno, è la riunione della Commissione regionale dei patronati pro vittime politiche (Parigi, 9 ottobre 1934). Il nome di Gramsci è citato dall’informatore per inquadrare ai suoi referenti uno dei partecipanti: «Egli, Athos Lisa, compagno di Gramsci [nel PCd’I e nel carcere di Turi], può dire cosa si passa nelle isole e nelle carceri del Regime». Mentre a Campioli la spia dà ampio spazio. Riferisce: «Il noto CAMPIOLI CESARE disse che un lavoro efficace potrebbe essere svolto dalle donne facendo propaganda spicciola di casa in casa, illustrando gli orrori delle prigioni fasciste e cercando di avvicinare soprattutto gli operaie cattoliche, la cui mentalità è più portata verso la carità e la pietà per le persone che soffrono».

L’intrecciarsi, seppur a distanza, delle vite di Campioli e di Gramsci conferma il ruolo non secondario del futuro Sindaco della Liberazione nell’attività del comunismo internazionale e, probabilmente, attore inconsapevole della intricata vicenda che coinvolgeva la “patria del socialismo” e l’ex segretario del PCd’I.
A Campioli, nel dicembre scorso, è stato dedicato un covegno, promosso da ANPI e ISTORECO, i cui atti, che a breve saranno pubblicati, ricostruiscono finalmente nella sua intierezza la figura del comunista reggiano.

 

 

Glauco Bertani