Intervista raccolta nel 2019

Alsazia

L’Alsazia è una terra contesa, un luogo quasi dal valore simbolico, nel quale la storia europea, soprattutto quella del secolo XX, ha trovato espressione paradossale e drammatica sintesi. Una terra plasmata dalle migrazioni, in entrata e in uscita, nella quale, per secoli, gli abitanti si sono sentiti prima di tutto alsaziani. Eppure, quando l’Europa ha provato a darsi una strada istituzionale comune, ha scelto proprio Strasburgo quale sede del parlamento europeo e della corte europea dei diritti dell’uomo.

Sin dall’alto medioevo, l’Alsazia, parte del Sacro Romano Impero, ma mai regione autonoma, dovette confrontarsi con temibili vicini: i re di Francia e la moltitudine dei signori tedeschi. Anche se, tra il 1680 e il 1870, essa fu annessa al territorio francese, la lingua locale rimase una variante del ceppo tedesco. La rivoluzione francese non riuscì a imporre un’identità nazionale in quest’area, meltingpot irripetibile di elementi a volte riconducibili ai due più ingombranti vicini (a quest’altezza, appunto Francia rivoluzionaria e Prussia in ascesa). Tra metà ottocento ed il 1871, quest’area mostrava un tasso di stranieri più alto della media nazionale, richiamati dalle regioni vicine a causa del grande sviluppo industriale. Dopo la sconfitta francese a Verdun, l’impero tedesco ne chiese l’annessione, in vista dello sfruttamento delle sue risorse naturali. Questo passo provocò una vera e propria ristrutturazione demografica – nonché una rimodulazione del concetto di straniero – o di immigrato. Infatti, il trattato di Francoforte spinse 60 mila alsaziani a emigrare in Francia o nelle colonie del Nord Africa (coloro che chiesero vanamente di andarsene erano nettamente il doppio). A questo movimento in uscita si raccordò una politica di popolamento, orchestrata dalla Germania di Bismark. Infatti, in questa regione, furono trasferiti migliaia di tedeschi, perlopiù funzionari o militari del Reich, nazionalisti. Eppure, accanto ai francesi, non più cittadini, l’Alsazia in questo periodo continuava ad essere meta della migrazione di prossimità e a carattere stabile: dalla Svizzera, come dall’Italia e dall’Austria.

L’armistizio del 1918, invece, riportò l’Alsazia nell’orbita francese, senza però metterne a repentaglio le caratteristiche principali: linguistiche (predominanza del dialetto locale, bilinguismo franco-tedesco diffuso perlopiù nelle città), religiose (cattolicesimo tutelato da un accordo risalente a Napoleone), culturali e amministrative. Ancora una volta, ma a parti invertite, il nuovo stato dominante, ovvero la Francia, cacciò centinaia di migliaia di alsaziani di lingua tedesca. Il periodo forse più complesso per questa regione fu certamente il secondo conflitto mondiale: essa fu annessa al terzo Reich e le sue risorse vennero saccheggiate per nutrire la macchina industriale tedesca. Le sopraffazioni, la ostentata mancanza di rispetto per la peculiarità socio-culturale dell’Alsazia, gli abusi perpetrati dall’occupante tedesco nutrirono la sete di libertà dei suoi abitanti. Così, mentre molti di loro furono arruolati a forza nella Wermacht, altri andarono ad ingrossare il movimento di resistenza.

Solo dopo la seconda guerra mondiale, tuttavia, l’Alsazia vide incrementarsi il tasso di immigrazione: le miniere attirarono polacchi e ucraini, mentre molti magrebini ex-combattenti decisero di trasferirsi nella “madrepatria”. Dopo il 1954, anno della sua riannessione alla Francia, accanto ai vicini europei, cominciarono ad emigrare in Alsazia persone provenienti da luoghi più distanti. Fu però tra il 1968 e la metà del decennio successivo, che questa regione tornò ad affermarsi come terra di immigrazione, anche dalla Turchia. La caduta dei regimi dell’Europa orientale determinò una copiosa ondata migratoria da quelle aree, senza porre in secondo piano, tuttavia, migranti da paesi africani un tempo colonie francesi o da medio-lontano oriente. Inoltre, il crollo del muro di Berlino riportò in questa regione molti tedeschi.

Negli ultimi trent’anni, l’immigrazione si è ulteriormente diversificata: la presenza di istituzioni comunitarie ha portato molti cittadini europei, altamente qualificati, a spostarsi in questa regione.