Intervista raccolta nel 2019

Cooperazione internazionale ed educazione

Nel processo di “accompagnamento” verso l’indipendenza della Somalia da parte del governo italiano, tra il 1950 e il 1960, uno dei punti chiave era rappresentato dall’impegno dell’ex paese colonizzatore sul fronte della formazione dei cittadini somali. L’obiettivo era quello di gettare le basi per la costruzione di una nuova classe dirigente africana, necessaria per una Somalia finalmente indipendente, attraverso il conseguimento di un’educazione superiore e di carattere specialistico. La sinistra italiana rimproverò spesso all’AFIS (amministrazione fiduciaria della Somalia italiana) di non mirare con sufficiente energia alla formazione tecnica dei somali, privilegiando spesso settori meno capaci di impattare sulla strutturazione della nuova società somala. Eppure, la strategia delle borse di studio, in quel decennio, portò nel nostro paese centinaia di studenti dalla Somalia. Avendo abbandonato l’Eritrea, la colonia primigenia, al suo destino, di fatto questo fenomeno rappresentò il primo terreno di cooperazione tra l’Italia e un paese africano che si stava emancipando.

Successivamente, proprio a partire dagli anni settanta, in Italia furono progettate e dispiegate efficaci politiche di cooperazione internazionale con quelli che erano definiti paesi in via di sviluppo. Parallelamente agli interventi di matrice governativa, tuttavia, cominciò a rafforzarsi sempre più una concezione “dal basso” delle relazioni internazionali, spesso nutrita da precedenti esperienze locali di solidarietà con paesi in lotta per l’indipendenza.

É il caso, questo, del comune e della società civile di Reggio Emilia, che, dopo avere offerto supporto con “aiuti materiali” e con interventi di diplomazia parallela al movimento di liberazione del Mozambico (Frelimo) e all’African National Congress sudafricano (il partito di Nelson Mandela), già dalla fine degli anni sessanta, si impegnarono in progetti di cooperazione decentrata. Il primo partner fu proprio la repubblica del Mozambico, subito dopo l’indipendenza conseguita nel 1975. Infatti, già negli anni del gemellaggio tra l’ospedale Santa Maria Nuova e il posto medico allestito dal Frelimo nel nord del paese in lotta contro il Portogallo, era emersa la volontà di rafforzare le competenze agli africani, così da sostenere il loro percorso verso l’indipendenza. Così, a Reggio, dal 1970 al 1975 (ovvero gli anni del supporto alla lotta per l’indipendenza) arrivarono decine di mozambicani con lo scopo di apprendere i rudimenti delle professioni sanitarie, mentre, nell’arco dei successivi quindici anni, furono formati operatori anche in altre professioni tecniche. Il patrimonio rappresentato dall’esperienza di questa precoce cooperazione decentrata è tuttora portato avanti dal comune di Reggio Emilia e dalla società civile locale, perché uno degli aspetti più rilevanti di questo tipo di partnership internazionale, sta precisamente nel ruolo giocato dall’ente locale, nel coinvolgere il territorio nella progettualità. Negli ultimi vent’anni, Reggio Emilia, pur restando fedele agli storici rapporti con l’Africa, ha infatti ampliato il suo raggio di azione all’Europa e all’America latina – passando per Palestina e Cina.

Per concludere con uno sguardo sul presente, la cooperazione decentrata pare uno strumento estremamente duttile per promuovere gli obiettivi dell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile, proprio in virtù del suo radicamento in una comunità e dell’approccio inclusivo e proattivo nei confronti delle comunità partner e delle loro risorse.